Un team internazionale ha scoperto che l'acqua all’interno dei minerali del gruppo delle zeoliti consente di risparmiare energia nella conversione della biomassa in biocarburante, questione nodale nella produzione di carburanti provenienti da materie prime rinnovabili.
TAKEAWAY
- Le tecniche che convertono biomassa in biocarburante richiedono ancora elevati consumi energetici.
- “Se in futuro dobbiamo fare a meno delle fonti energetiche fossili e fare un uso efficiente della biomassa, dovremo trovare modi intelligenti per ridurre l’energia necessaria alla sua lavorazione”: questo il parere della comunità scientifica.
- Un gruppo di ricerca internazionale ha fatto nuove scoperte sul ruolo delle molecole d’acqua all’interno delle cavità delle zeoliti, osservando come queste aiutino a catalizzare la conversione della biomassa in biocarburante, riducendo al minimo la quantità di energia richiesta dalla reazione.
Le tecniche atte a convertire biomassa in biocarburante richiedono ancora elevati consumi energetici, oltre all’utilizzo di grandi quantità di risorse idriche. Aspetti, questi, che non sempre fanno di tali carburanti – seppur provenienti da materie prime rinnovabili – la soluzione ideale per l’ambiente.
Concetto espresso anche dal mondo della ricerca e, più in particolare, da Johannes Lercher, ricercatore e professore di tecnologia chimica presso la Technical University of Munich (TUM) e Direttore dell’Institute for Integrated Catalysis presso il Pacific Northwest National Laboratory a Richland, Washington, il quale afferma:
“Se in futuro dobbiamo fare a meno delle fonti energetiche fossili e fare un uso efficiente, su larga scala, della biomassa, dovremo anche trovare modi intelligenti per ridurre l’energia necessaria alla sua lavorazione“
Ricordiamo che il termine “biomassa” indica qualsiasi sostanza di matrice organica, vegetale o animale, compresi i residui delle lavorazioni agricole, gli scarti dei prodotti agro-alimentari destinati all’alimentazione umana o alla zootecnia, i residui – non trattati chimicamente – dell’industria della lavorazione del legno e della carta e tutti i prodotti organici derivanti dall’attività biologica degli animali e dell’uomo.
Il processo che mira a convertire biomassa in biocarburante avviene per mezzo di soluzioni biotecnologiche fondate su processi termochimici (basati sull’azione del calore), biochimici (come, ad esempio, la fermentazione alcolica) oppure chimico-fisici (finalizzati all’estrazione degli oli vegetali grezzi e poi alla loro trasformazione chimica in biodiesel), a seconda delle proprietà fisiche e chimiche del materiale organico in questione.
In generale, cellulose e lignina – così come i derivati delle biomasse legnose – vengono sottoposti a processi di tipo termochimico, mentre le biomasse derivate da cereali amidacei come mais e canna da zucchero, il cui contenuto di umidità è maggiore del 30-35%, sono più adatte a trasformazioni di tipo biochimico.
Nell’ambito di questi processi di conversione, un team di ricerca internazionale – di cui fa parte lo stesso professor Lercher, oltre a biotecnologi, e che vede impegnate la Technical University of Munich e il Pacific Northwest National Laboratory di Washington – ha fatto nuove scoperte sul ruolo delle molecole d’acqua, riportandone gli esiti in un articolo del 28 maggio 2021 su Science. Vediamo da vicino di che cosa si tratta.
Il ruolo dei minerali porosi nel catalizzare reazioni chimiche
Come detto in precedenza, sebbene il combustibile ricavato dalla biomassa sia considerato neutrale dal punto di vista climatico, è ancora necessaria energia per produrlo, con reazioni chimiche che, talora, richiedono alti livelli di temperatura e di pressione, con relative emissioni di CO2.
L’intuizione del gruppo di studio capitanato da Johannes Lercher è partita dalle zeoliti, famiglia di minerali dalla struttura cristallina molto aperta e dai canali interconnessi. Si tratta di materiali estremamente porosi, le cui cavità li rendono utili per catalizzare reazioni chimiche.
Quello che ha fatto il team è stato, innanzitutto, esaminare da vicino il ruolo delle molecole d’acqua nelle reazioni che avvengono all’interno dei pori delle zeoliti – che sono di dimensioni inferiori a un nanometro, ovvero a un miliardesimo di metro – per poi osservare, in particolare, la reazione chimica che ne deriva quando all’acqua viene aggiunto acido cloridrico (idracido comunemente utilizzato in soluzioni acquose): questo si divide in anioni cloruro con carica negativa – come quelli che si trovano nei cristalli di sale da cucina – e protoni con carica positiva, che si attaccano alle molecole d’acqua.
Ciò si traduce in uno ione idronio caricato positivamente, che cerca di trasmettere ulteriormente questo protone, ad esempio a una molecola organica. E quando quest’ultima è “costretta” ad accettare un protone, cerca di stabilizzarsi.
Se la molecola organica in questione è una molecola di alcol (che, a temperatura ambiente, è sotto forma di liquido incolore e miscibile con l’acqua), questa può dare origine a una molecola con un doppio legame, il che corrisponde alla tipica fase di reazione nel percorso che vede convertire biomassa in biocarburante.
Che cosa accade a questo punto della reazione? Che le pareti delle zeoliti “stabilizzano” gli stati di transizione che si verificano durante la conversione e, quindi, aiutano a ridurre al minimo la quantità di energia richiesta dalla reazione per verificarsi.
Le zeoliti come nanoreattori nel convertire biomassa in biocarburante
Le zeoliti, nella loro struttura cristallina, contengono atomi di ossigeno che già trasportano un protone. E, come gli acidi molecolari, formano ioni idronio attraverso le interazioni con l’acqua. Tuttavia, mentre gli ioni idronio si disperdono in acqua, questi rimangono comunque strettamente associati alle zeoliti.
Il pre-trattamento chimico può variare il numero di questi centri attivi e, quindi, stabilire una certa densità di ioni idronio nei pori delle zeoliti. Variando sistematicamente la dimensione delle cavità del minerale, la densità dei siti attivi e la quantità di acqua, il team di ricerca è stato in grado di chiarire le dimensioni dei pori e le concentrazioni di acqua che hanno catalizzato meglio le reazioni di esempio selezionate.
“In generale, è possibile aumentare la velocità di reazione riducendo i pori e aumentando la densità di carica – spiega Lercher – Tuttavia, questa azione ha i suoi limiti: quando le ‘cose’ si fanno troppo affollate e le cariche sono troppo vicine l’una all’altra, la velocità di reazione diminuisce di nuovo. Il che ci insegna che dobbiamo trovare le condizioni ottimali per ogni tipo di reazione“.
In conclusione, in materia di tecniche volte a convertire biomassa in biocarburante, le zeoliti sono generalmente adatte come nanoreattori per tutte le reazioni chimiche i cui partner di reazione si inseriscono nei pori e in cui un acido viene utilizzato come catalizzatore. Sottolinea, concludendo, il docente ricercatore:
“Siamo all’inizio di un nuovo corso, col potenziale di aumentare la reattività delle molecole anche a basse temperature e, quindi, di poter ulteriormente risparmiare notevoli quantità di energia nella produzione di combustibili, così come nella produzione di prodotti chimici”