Da una puntuale analisi di The European House - Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia, il quadro degli orientamenti e delle scelte, da parte delle aziende italiane, in tema di nuove tecnologie, con un occhio alle filiere e alla mappa dell’ecosistema digitale del nostro paese.

Nonostante la forte spinta inferta dall’emergenza pandemica nel corso degli ultimi due anni, l’adozione del digitale, in Italia, non è (ancora) allineata agli altri paesi europei.

Per una serie di motivi – tra cui la generale mancanza di competenze IT – il nostro paese risente di un ritardo nel processo di digital transformation.

Sul tema, fa il punto il recente studio dal titolo “Next Generation DigITALY – Come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese”, a cura di The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia, presentando i dati di un’indagine sugli orientamenti e sulle scelte delle aziende italiane nell’impiego delle tecnologie digitali al loro interno. Ma non solo.

Gli autori hanno, per la prima volta, “sondato oltre”, analizzando anche lo stato di adozione del digitale nelle filiere, soffermandosi poi sulle politiche pubbliche a supporto dell’innovazione, delineando, infine, una mappa dell’«ecosistema digitale» del nostro paese, fatto sì di imprese consolidate, ma anche di «Istituzioni, startup, enti di ricerca e formazione, attori finanziari e infrastrutture».

Per quanto riguarda i partecipanti all’indagine (127 aziende in totale, operanti su tutto il territorio nazionale), il 36% sono del settore manifatturiero, il 24% dell’ICT, il 15% utility ed energia, il 13% finanza e assicurazioni, il 7% farmaceutiche e life science, il 4% costruzioni e l’1% distribuzione. Il 52% di queste sono organizzazioni di grandi dimensioni, il 17% aziende medie, il 15% piccole e il 16% microimprese. Diamo uno sguardo a quanto è emerso.

Il digitale in Italia: quali tecnologie adottano le imprese?

L’indagine sull’adozione del digitale in Italia, ha messo innanzitutto in luce che, ad oggi, è il cloud – tra le nuove tecnologie – quella maggiormente adottata dalle nostre aziende (82%). Vengono dopo le tecnologie di business application (62%) e quelle che fanno capo alla sicurezza informatica (53%). Fanalino di coda, l’High Performance Computing, utilizzata solo dall’11% del campione intervistato.

Grafico che illustra le tecnologie digitali più utilizzate dalle aziende italiane (Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati proprietari, 2022).
Le tecnologie digitali più utilizzate dalle aziende italiane (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati proprietari, 2022).

Analizzando in profondità l’adozione del cloud, la ricerca ha evidenziato che il 38% delle impese che impiegano tale tecnologia «sfrutta soluzioni di cloud avanzate, come strumenti di gestione workload, intelligenza artificiale e big data, il 16% servizi di cloud di livello medio – come software per accounting e data analytics – e il restante 28% strumenti di cloud base, come email, office software e file storage».

Riguardo agli investimenti, tutte le organizzazioni coinvolte nel sondaggio, nell’ultimo triennio, hanno riservato parte del proprio fatturato alle tecnologie digitali: la maggior parte (65%) ha investito tra l’1% e il 10%; il 16% meno dell’1%; l’11% tra il 10,1% e il 20% e il restante 8% ha investito oltre il 20%.

Schema che illustra, a sinistra, l’ammontare complessivo degli investimenti in tecnologie digitali effettuati nell’ultimo triennio dalle aziende (% sul totale) e, a destra, la stima dell’incidenza media degli investimenti digitali annui rispetto al fatturato aziendale (Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati proprietari, 2022).
A sinistra, l’ammontare complessivo degli investimenti in tecnologie digitali effettuati nell’ultimo triennio dalle aziende (% sul totale) e, a destra, la stima dell’incidenza media degli investimenti digitali annui rispetto al fatturato aziendale (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati proprietari, 2022).

Ed è dovuto – nell’ordine – alla cultura aziendale (52%), alla carenza di competenze interne (48%) e alle incertezze sui ritorni (32%) il ritardo della modernizzazione delle applicazioni, dei processi e delle operatività aziendali per mezzo del digitale.

Mentre, per quanto attiene agli impatti positivi del digitale all’interno delle organizzazioni, è soprattutto l’innovazione di prodotto o di processo (indicata dal 73% degli intervistati) – seguita da ricerca e sviluppo (67%) – l’ambito nel quale le nuove tecnologie hanno maggiori riflessi, con la formazione del personale (36%) menzionata da poco più di un terzo delle imprese.

Focus su filiere, interventi pubblici e PNRR

In tema di digitale in Italia, ben diversi sono i dati emersi dal sondaggio che ha visto protagoniste le filiere industriali, di cui ben l’80% considera le tecnologie digitali come strumenti che facilitano l’innovazione di prodotto o di processo. Il 72%, invece, le reputa strategiche per la creazione di nuovi modelli di business e il 56% importanti «per agevolare la collaborazione con terze parti, ad esempio accordi di filiera, gruppi di pari ecc.».

Ben il 98% delle imprese, inoltre, ritiene che il digitale «abiliti l’integrazione di filiera, in particolare facilitando la condivisione dei dati e riducendo il time-to-marketAltre due modalità attraverso cui le tecnologie digitali possono supportare l’integrazione di filiera riguardano, poi, l’utilizzo delle piattaforme software di terzi e facilitando l’accesso a competenze non-core aziendali».

Grafico che illustra la percentuale di risposte affermative al supporto delle tecnologie digitali all'integrazione di filiera e le relative modalità (Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati proprietari, 2022).
Le tecnologie digitali supportano l’integrazione di filiera? E, se sì, con quali modalità? (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati proprietari, 2022).

Se soltanto il 20% delle aziende che hanno preso parte all’indagine è soddisfatto dell’efficacia delle politiche pubbliche a sostegno del digitale, la fiducia nei confronti del PNRR sembra invece solida, con l’85% delle imprese che lo ritiene un acceleratore del processo di digitalizzazione del paese.

In particolare, secondo gli intervistati, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (approvato nel 2021) avrà una ricaduta positiva -accelerandoli – su tre componenti:

  • innovazione delle infrastrutture digitali (76%)
  • digitalizzazione e dematerializzazione dei processi (74%
  • formazione alla digitalizzazione (72%)

Gli attori che compongono l’attuale ecosistema digitale in Italia

Oltre alle aziende del mondo ICT, sono le Istituzioni del paese, le startup, i centri di formazione, i protagonisti del settore finanza e le infrastrutture, a dare vita al grande ecosistema digitale in Italia, al quale gli autori dello studio hanno cercato di dare una forma e un volto.

Iniziamo col dire che, nel nostro paese, il settore del digitale conta 104.724 aziende e 526.000 occupati (per un fatturato di 129 miliardi di Euro), al quarto posto in Europa per numero di imprese (dietro Polonia, Francia e Germania) e al terzo posto per ricavi aziendali del comparto, dopo Germania e Francia.

Questi numeri, però, non si traducono in un elevato dinamismo del segmento ICT italiano, rimarcano gli analisti di The European House – Ambrosetti, «che nell’ultimo decennio è rimasto pressoché immobile, con una crescita nel periodo tra 2011 – 2019 solo del 3,9%, comportando un allargamento del gap competitivo con Germania e Francia, che invece sono cresciuti rispettivamente del 39,7% e 15,5%».

Ma ciò che più colpisce è la forte polarizzazione territoriale delle imprese digitali italiane con la Lombardia sede di ben 26.907 aziende ICT (il 26% dell’intero settore), seguita dal Lazio, con il 15,4% sul totale.

Grafico che illustra il numero di aziende del settore ICT per regione e provincia (valori assoluti), 2021 (Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su dati AIDA, 2022).
Numero di aziende del settore ICT per regione e provincia (valori assoluti), 2021 (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su dati AIDA, 2022).

«L’economia del digitale – notano gli autori – pone al centro dell’arena competitiva soprattutto le città: non a caso, Milano e Roma registrano rispettivamente il 15,3% e il 13,5% del totale delle aziende. Si rileva, infine, un forte divario digitale tra il Nord e il Sud del Paese, con la Campania che si conferma come l’unica regione del Sud con un consistente numero di attività imprenditoriali».

La governance della transizione digitale

In tema di transizione digitale in Italia, è la Presidenza del Consiglio a detenere il ruolo di indirizzo politico, «impostando le linee guida strategiche e delegando, invece, la fase implementativa principalmente a due agenzie con un ruolo sia politico che tecnico, ovvero l’Agenzia per l’Italia Digitale (AGID) e il Dipartimento per la trasformazione digitale».

Tra i Ministeri che possiedono responsabilità di rilievo nella digitalizzazione e innovazione tecnologica del Paese, quello dell’Innovazione Tecnologica e della Transizione Digitale (MITD) coordina la maggior parte dei progetti con le agenzie citate.

Mentre, il Ministero dell’Economia e delle Finanze si occupa dello sviluppo di tutte quelle piattaforme che servono per la digitalizzazione dei rapporti tra Stato, cittadini e imprese, come ad esempio pagoPA.

Per quanto riguarda, nello specifico, la digitalizzazione dei servizi pubblici, questa prevede anche la collaborazione del Ministero della Pubblica Amministrazione, che necessita – per i propri servizi – dell’integrazione di tutte le soluzioni digitali sviluppate dagli altri enti governativi.

Startup e e formazione: Italia fanalino di coda

Anelli deboli dell’attuale ecosistema digitale in Italia, un supporto e un’incentivazione a favore delle startup che non ne accelerano lo sviluppo.

I numeri sono, tutto sommato, buoni, con un totale di 14.077 startup innovative sul territorio, di cui 10.656 (75,7%) digitali. Ma la debolezza sta nella quasi totale assenza dei cosiddetti “unicorni”, ossia startup di proprietà privata con una valutazione superiore a un miliardo di Dollari:

«… attualmente l’Italia vanta un unico unicorno – Scalapay – contro le decine di aziende giovani tedesche (29) e francesi (24) con capitalizzazioni superiori al miliardo di Dollari»

Anche sul versante formazione, lo Stivale non regge la competizione internazionale, registrando ritardi nello sviluppo dell’ecosistema digitale e annunciando futuri freni nell’intero processo di innovazione del paese.

«Sebbene negli ultimi anni sia stata registrata una crescita costante degli iscritti in materie che fanno capo al digitale – passando da 86mila nel 2015 al 120mila nel 2021 – il digitale risulta ancora una componente minoritaria nel sistema di istruzione italiano, particolarmente per quanto riguarda le Università, con appena il 6,5% (corrispondente a 119mila studenti) di iscritti a corsi di studio che sono altamente collegati ad ambiti digitali, su un totale di 1.838.695 iscritti a corsi universitari» si legge nel documento di The European House – Ambrosetti.

Il confronto con gli altri paesi europei pone in evidenza la carenza di competenze avanzate digitali che il nostro sistema universitario è in grado di formare: nel 2021, l’Italia ha registrato 40mila iscritti in corsi di studio in materie ICT, contro gli 87mila della Francia, i 119mila della Spagna e i 241mila della Germania.

Anche il sistema degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) registra numeri di iscritti inferiori a quelli degli altri paesi,«dimostrando come il problema della bassa affluenza all’istruzione professionalizzante sia tipicamente italiano».

E il quadro è reso ancora più fosco quando si entra nel merito dei percorsi formativi specifici in materie ICT, con solo 13 Istituti che – ad oggi – erogano corsi di formazione in ambito digitale.

Il digitale in Italia: le dinamiche del settore finanza e le infrastrutture esistenti

La fase post-emergenza pandemica, che ha segnato gli ultimi due anni, è stata caratterizzata, in Italia, da una generale ripresa degli investimenti, specie nel settore ICT. Più nel dettaglio, nel 2021 quest’ultimo ha registrato «7,5 miliardi di Euro di investimenti in venture capital e private equity, corrispondenti al 51% delle risorse investite, attraverso 183 operazioni». Questo, tuttavia, non è un fenomeno solo italiano, ma sembra rispecchiare un trend globale, in risposta alla pandemia.

Da un confronto europeo del venture capital e private equity nel settore ICT, emerge, però, il grande divario ancora presente tra Italia e gli altri Paesi europei, «sottolineando la bassa propensione dei fondi di investimento – soprattutto esteri – a investire nelle imprese italiane. Il che è particolarmente evidente analizzando il livello di investimenti di venture capital nel settore ICT italiano in rapporto al suo PIL» sottolineano gli autori.

Nello specifico, l’Italia registra solo lo 0,02%, confermando divario nei confronti di paesi come Germania (0,06%), Spagna (0,07%) e Francia (0,09%).

Per fare fronte a questa situazione, sono state lanciate iniziative pubbliche come il Fondo Nazionale per l’Innovazione, focalizzato su aziende attive nei settori strategici per la crescita del Paese, tra cui le tecnologie digitali come intelligenza artificiale e blockchain.

In ultimo, la crescita del digitale in Italia è correlata anche alle infrastrutture di telecomunicazione. A tale riguardo, nel mostro paese – a partire dagli ultimi anni – sono in continua crescita i livelli di adozione della banda larga con velocità uguale o maggiore a 30 Mbit/s, supportati anche dai nuovi fondi del PNRR.

Il neo concerne lo stato di copertura di connessioni a banda larga più veloci di 100 Mbit/s, in cui registriamo il 78%, a fronte di una media europea dell’82%.

Grafico che illustra la copertura della banda larga con velocità uguale o superiore a 100 Mbit/s nei Paesi UE (% sul totale), 2021 (Fonte: elaborazione The European House - Ambrosetti su fonti varie, 2022).
Copertura della banda larga con velocità uguale o superiore a 100 Mbit/s nei Paesi UE (% sul totale), 2021 (Fonte: elaborazione The European House – Ambrosetti su fonti varie, 2022).

Ma il gap tra Italia e resto d’Europa si amplia quando si analizza l’impiego delle connessioni fisse da parte delle famiglie, con soltanto il 66% di queste che gode di una banda larga fissa, contro il 97% nei Paesi Bassi, l’83% in Spagna e l’82% in Germania.

Il ritardo sulle connessioni veloci viene affrontato dal Governo implementando il Piano Strategico Banda Ultralarga, il cui obiettivo è «sviluppare una rete con connettività a 1 Gbit/s sull’intero territorio nazionale entro il 2026, in anticipo rispetto agli obiettivi fissati dall’Unione Europea attraverso l’utilizzo di 6,7 miliardi di Euro del PNRR».

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin