Un imponente studio realizzato da The European House - Ambrosetti, in collaborazione con Microsoft Italia, getta le basi di una fattiva presa di coscienza circa l’importanza, per la crescita socio-economica del nostro Paese, di un grande e solido “sistema” di innovazione digitale sul quale poggiare. A cominciare dal comparto manifatturiero.
A che punto del percorso di trasformazione digitale si trova, in questo momento, il nostro Paese? In quale misura l’innovazione digitale è, finora, penetrata nell’industria – e, più in particolare, nell’industria manifatturiera, di cui l’Italia è, per surplus commerciale, una potenza globale – automatizzandone i processi e modernizzandone operatività e organizzazione interna?
L’emergenza pandemica, specie durante le sue fasi più critiche, ha spinto sull’adozione delle tecnologie emergenti, portando cittadini e aziende a un utilizzo mai registrato prima.
In seguito al Covid, i numeri parlano di un incremento significativo della digital transformation italiana. Eppure non così significativo da allinearsi agli altri Paesi UE, nell’ultimo decennio maggiormente lungimiranti in fatto di investimenti nel digitale, ai quali hanno saputo guardare come al grimaldello in grado di aprire le porte della crescita economica e – in correlazione – dello sviluppo sociale.
Le nostre statistiche, ad esempio, rilevano competenze digitali ancora carenti o non aggiornate da parte di coloro già inseriti nel mondo del lavoro. Certo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza approvato nel 2021, con i suoi 191,5 miliardi di euro complessivi destinati a una serie di interventi, tra cui anche la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica del settore pubblico e privato, è una leva strategica cruciale, in linea con gli obiettivi fissati dalla Commissione Europea nel Next Generation EU, fondo dal valore di 750 miliardi di euro stanziati per la ripresa economica post-pandemia degli Stati membri.
Ma il PNRR, da solo, non può tutto. Mancano ancorano la presa di coscienza circa l’importanza di fare compiere «un deciso cambio di passo al Paese che, nonostante alcuni miglioramenti, non è ancora al livello dei top performer europei», e la consapevolezza, «per tutti gli attori della business community e per i policy maker, rispetto ai benefici e alle opportunità di avere ecosistemi di innovazione avanzati» si legge in “Next Generation DigITALY – Come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese”, studio a cura di The European House – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia, realizzato proprio «con l’obiettivo di definire una strategia-Paese per sviluppare un ecosistema digitale innovativo in Italia».
Arricchiscono le riflessioni del gruppo di lavoro, i risultati di un’indagine condotta dallo stesso team su 127 aziende attive sul nostro territorio, col fine di delineare «lo stato dell’arte» dell’innovazione digitale all’interno delle imprese e a livello di filiera.
Innovazione digitale nell’industria manifatturiera: il quadro italiano
In particolare, lo studio si apre con un ampio focus in tema di innovazione digitale nell’industria manifatturiera italiana, tra i comparti trainanti per l’economia del Paese – sesto al mondo e secondo in Europa dopo la Germania per surplus commerciale – che, con le filiere della metallurgia, dei macchinari e dell’industria alimentare, nell’anno della pandemia, è riuscito a realizzare circa 245 miliardi di Euro.
Eppure, osservano gli analisti di The European House – Ambrosetti, questi numeri, negli ultimi due decenni, non hanno segnato una crescita sostanziale del settore, né alcun dinamismo nella produttività, soprattutto se comparati a quelli delle aziende concorrenti di altri Paesi UE. Perché? Spiegano gli autori:
«Tale criticità pare essere legata al concetto di “energie del sistema” – in economia espresso con i termini “multifactor productivity” – che rimanda all’efficienza con cui input di capitale e lavoro vengono utilizzati insieme nei processi produttivi. Esso, in azienda, ha a che vedere, ad esempio, con le pratiche manageriali, con la formazione, l’allocazione del capitale umano, la digitalizzazione, l’attenzione alla sostenibilità».
Nel dettaglio, l’esame di quelle componenti che hanno contribuito al PIL italiano nel periodo compreso tra il 1995 e il 2019, rileva – si legge nel Report – una sotto-performance in fatto di energie del sistema, incidendo in modo negativo sul prodotto interno lordo (-0,2%). Guardando, invece, alla multifactor productivity di Francia, Germania e Regno Unito, questa ha avuto un impatto positivo sulla loro crescita economica.
Dunque, la staticità della produttività italiana nel settore manifatturiero, al di là della sua posizione attuale nella classifica mondiale, è da leggersi quale indizio della difficoltà del Paese nel rispondere alle trasformazioni che l’attuale mercato richiede per restare competitivi.
Da qui l’esigenza di trovare soluzioni concrete per invertire la rotta e accelerare il processo di innovazione digitale. Ma vediamo, innanzitutto, che cosa si intende per “trasformazione digitale” riferita al manifatturiero e quali cambiamenti essa impone, nello specifico.
Cos’è la manifattura intelligente e quali tecnologie la abilitano
In tema di innovazione digitale nell’industria manifatturiera, l’evoluzione e la maturità raggiunte, soprattutto negli ultimi dieci anni, da una serie di tecnologie cosiddette “emergenti” – tra cui AI, robotica, Internet of Things e Cloud, solo per citarne alcune – hanno consentito di progredire nell’ambito dell’automazione dei processi produttivi.
Ecco allora che si parla di “manifattura intelligente” – o “intelligent manufacturing – dove la presenza di macchine autonome dotate di intelligenza artificiale deputate ai lavori più pesanti e ripetitivi, la connettività e il dialogo tra dispositivi diversi e la centralità del dato, la sua raccolta, la sua analisi e il suo utilizzo per prendere decisioni, danno vita a un sito produttivo più efficiente, sicuro e competitivo.
Sono quattro, in particolare, le «macro-famiglie di tecnologie» che gli analisti di The European House – Ambrosetti indicano quali “fulcro” della manifattura intelligente. Innanzitutto «la robotica industriale è una delle tecnologie più intuitivamente associata all’intelligent manufacturing, con una diffusione ormai pervasiva e in costante accelerazione a livello globale – si legge nel Report – Secondo l’International Federation of Robotics il numero di unità robotiche industriali nel mondo è passato da poco più di un milione di unità nel 2010 a quasi 3 milioni nel 2019, con un tasso di crescita annuo dell’11,5%».
Le tecnologie di automazione del lavoro hanno iniziato ad avere un proprio ruolo anche nell’ambito di alcune attività legate al lavoro impiegatizio, grazie allo sviluppo di tecnologie software denominate RPA – Robotic Process Automation, in grado di svolgere compiti semplici quali l’estrazione di informazioni e di dati, la loro trasmissione e l’esecuzione di comandi base.
Ma quando si parla di innovazione digitale nell’industria manifatturiera, la chiave di volta rispetto al decennio precedente è data dalla capacità delle macchine di comunicare tra loro scambiandosi informazioni per mezzo delle tecnologie Internet of Things e della sensoristica avanzata.
«Se il mercato della robotica industriale è cresciuto in maniera sostenuta, il comparto dell’IoT sta crescendo con una progressione esponenziale. Secondo IoT Analytics – fanno notare gli autori – nel 2019 il numero di dispositivi industriali connessi in rete ha superato il numero di quelli destinati al mercato consumer, con una crescita annua media nel decennio 2010 – 2020 del 30%, passando da circa 800 milioni di dispositivi industriali connessi nel 2010 a 11,7 miliardi nel 2020, che saliranno a più di 30 entro il 2025».
Tra le applicazioni salienti delle tecnologie IoT nell’industria manifatturiera, il monitoraggio dei flussi di produzione, il controllo qualità e la manutenzione predittiva sui macchinari.
Innovazione digitale nell’industria manifatturiera: l’apporto di intelligenza artificiale, Cloud e supercomputer
In particolare, in materia di innovazione digitale nell’industria manifatturiera, sono le tecniche di intelligenza artificiale a supportare numerosi processi e molteplici operatività all’interno delle aziende, connotandone la definizione di “smart”.
La vasta mole di dati raccolti dalla sensoristica a bordo dei macchinari, così come di quelli generarti da altri dispositivi presenti nel sito produttivo, chiedono di essere analizzati per estrarne valore e prendere decisioni che riguardano, ad esempio, lo sviluppo di prodotti, le azioni di marketing, tutta la parte gestionale – relativa a logistica, clienti e ottimizzazione dei processi – e le attività previsionali, tra cui manutenzione predittiva e previsione dei guasti.
Relativamente al ruolo del Cloud e dell’High Performance Computing (HPC) – espressione con la quale vengono identificati i supercomputer – tutto il settore manifatturiero, soprattutto nell’arco degli ultimi cinque anni, ha imparato a usufruirne per l’efficientamento dell’intero ciclo produttivo.
Nello specifico, «la possibilità di avvalersi di servizi di storage e computing nel Cloud semplifica tutti i processi digitali delle aziende, garantendo la scalabilità e, al contempo, la continuità del proprio business».
Con l’emergenza pandemica – rimarcano gli analisti di The European House – Ambrosetti – «l’utilizzo del Cloud si è altamente diffuso in Italia, che oggi registra uno dei più alti tassi di adozione della tecnologia, registrando, nel biennio 2018-2020, un aumento, a livello aziendale, dal 22% al 59%».
Per quanto concerne, invece, i progressi compiuti nell’ambito delle tecnologie di calcolo, questi consentono, oggi, di oltrepassare le Colonne d’Ercole della mera analisi dei dati, per arrivare a mettere a punto simulazioni del reale «sempre più raffinate e dinamiche», tra cui gemelli virtuali di interi processi industriali o di sistemi, con i quali simulare scenari a supporto di decisioni in situazioni complesse.
Ad abilitare l’intelligent manufacturing concorrono, infine, anche altre tecnologie, tra cui quelle che fanno capo al 5G, alla manifattura additiva e stampa 3D, realtà aumentata e computer vision.
L’impatto dell’intelligent manufacturing sulle imprese
Che cosa comporta, per le aziende del comparto manifatturiero, intraprendere un percorso di innovazione digitale? Quali sono, nel concreto, i vantaggi della manifattura intelligente?
In primis, gli autori dello studio rammentano le linee produttive più flessibili, «in grado di essere programmate per operare su più prodotti», seguite da un’interazione più puntuale con il cliente, basata sull’analisi dei dati che riguardano i suoi gusti e le sue tendenze, creando nuove possibilità in termini di personalizzazione dell’offerta.
La flessibilità della produzione si traduce anche in nuovi paradigmi di business, tra cui il “manufacturing-as-a-service”, in cui, anziché essere venduto, «il prodotto viene ceduto sotto forma di servizio a termine, con contratto pay-per-use». Un altro modello è quello denominato “just in time”, tipico delle piccole imprese che operano nel settore come fornitori di prodotti industriali altamente specializzati:
«Un esempio rilevante è quello dell’industria dell’auto, in cui, secondo il Center for Automotive Research, il tempo medio di sviluppo di nuovi modelli di veicoli è passato, in dieci anni – tra il 2010 e il 2020 – da circa 48 mesi a 25 e, con l’utilizzo dell’HPC, in certi casi specifici, si scende, oggi, a 9-10 mesi. Mentre il ciclo di vita delle piattaforme produttive è passato da una media di 8,4 anni negli anni ’80 a 5,9 in questa ultima decade»
Flessibilità, nuovi modelli di business e – ancora – integrazione. Smart manufacturing significa, infatti, anche “fare interagire” le diverse fasi del processo produttivo, in passato isolate e a sé stanti. «Oggi invece ciò che, per esempio, succede in magazzino, viene automaticamente e immediatamente trasmesso in produzione, senza bisogno di dover trasmettere informazioni manualmente, riducendo così tempi, costi e rischi di errore umano»
Ma la manifattura intelligente sostiene anche gli obiettivi di sostenibilità e di decarbonizzazione: mediante l’efficientamento dell’intero processo produttivo, infatti, è possibile ridurre i consumi energetici «agendo anche sull’efficienza dell’utilizzo delle materie prime e abilitando modelli e progetti di economia circolare, in azienda e lungo la filiera».
Innovazione digitale nell’industria manifatturiera: questione di competenze
La domanda, a questo punto, è una: quali competenze interne alle aziende esige il processo di innovazione digitale nell’industria manifatturiera?
Abbiamo, in breve sintesi, visto quali tecnologie abilitano la manifattura intelligente. Ma quali sono le skill e il sapere che, a loro volta, “abilitano”, rendono possibile l’applicazione di tali tecnologie?
A tale proposito – sottolineano gli autori dello studio – «l’Italia soffre di un grande disallineamento tra domanda e offerta di competenze su tutte quelle aree che hanno subito cambiamenti di paradigma indotto dall’introduzione delle nuove tecnologie digitali. Questa è considerata una delle grandi criticità del nostro Paese: se le aziende non trovano le competenze necessarie ad adottare la trasformazione digitale, di cui l’intelligent manufacturing fa parte, sono destinate a perdere sempre più terreno nella competizione globale».
Negli ultimi anni, più voci hanno lanciato questo grido di allarme, puntando il dito sul gap di competenze dovuto al basso numero di laureati in materie STEM e di diplomati presso gli istituti professionali, nonché alla scarsa efficacia della formazione continua per chi è già inserito nel mondo del lavoro.
Rispetto alla Germania, ad esempio (paese al quale siamo secondi in Europa per produzione della manifattura), «il nostro Paese – si legge nel Report – ha un numero inferiore di ingegneri, con il 15,2% degli iscritti all’Università contro il 20,6%. In termini assoluti, la Germania ha 334mila studenti in più dell’Italia iscritti a corsi di laurea di ingegneria, mentre in termini relativi, all’Italia mancherebbero comunque all’appello 90mila ingegneri rispetto alla Germania».
E, nello Stivale, il sistema ITS conta 19.000 iscritti, contro i 742.000 de la controparte tedesca. C’è, poi, un divario nel divario, dato dal forte disequilibrio tra uomini e donne e tra Nord e Sud del Paese:
«Soltanto il 17% dei lavoratori italiani in ambito digitale è donna, un valore al di sotto della media europea e quasi la metà dei top performer europei. E, dal punto di vista territoriale, il Mezzogiorno presenta un maggior numero relativo di abbandono prematuro degli studi nei giovani tra i 18 e 24 anni, con una percentuale del 16,3%. A livello regionale, le quattro regioni che hanno la performance peggiore sono Sicilia (19,4%), Campania (17,3%), Calabria (16,6%) e Puglia (15,6%)».
L’innovazione digitale nell’industria manifatturiera chiede un cambio di passo. Considerato anche il fatto che, in futuro – secondo l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) – «il 15% dei posti di lavoro in Italia saranno a rischio automazione, mentre il 35% è già a rischio di cambiamento drastico, con una probabilità maggiore per i lavoratori con basse competenze» soprattutto in tema di data science e intelligenza artificiale.
La voce dei protagonisti
In tema di innovazione digitale nell’industria manifatturiera, i risultati dell’indagine condotta dal team di studio su 127 aziende della filiera attive in Italia – e alla quale si è accennato all’inizio – come prima cosa mettono in luce l’interesse nei confronti delle soluzioni di manifattura intelligente e la loro elevata diffusione, con ben l’87% del campione di imprese raggiunte dal sondaggio che ha già realizzato progetti di intelligent manufacturing o che ne ha in programma uno.
I dati meno positivi sono, invece, quelli che confermano le problematicità rilevate dal team di studio nello sviluppare concretamente tali progetti, ovvero l’insufficienza di personale interno professionalmente preparato.
«Più della metà dei partecipanti (il 58%), infatti, identifica nella mancanza di competenze IT il primo ostacolo alla transizione verso l’intelligent manufacturing, seguito dalla cultura aziendale e dalla relativa difficoltà nell’adattamento delle nuove tecnologie nel contesto di riferimento».
Risultano fondamentali – per l’implementazione dell’intelligent manufacturing – quelle figure professionali con un curriculum specifico, focalizzato sulle tecnologie abilitanti illustrate in precedenza:
«L’87% del campione esprime la necessità di professionisti dotati di competenze informatiche. Tuttavia, la carenza di competenze non è limitata alle singole figure professionali specializzate nell’implementazione della tecnologia nel ciclo produttivo. Emerge, infatti, anche la rilevanza di competenze di project management (49%), caratterizzate da un mix di hard e soft skills»
Correlato al concetto di “formazione continua” è l’esigenza – individuata dall’analisi dei dati raccolti dal sondaggio – di programmi interni di upskilling e reskilling tesi all’aggiornamento e alla riqualificazione, nel tempo, dei lavoratori. Il processo di modernizzazione alla base dell’intelligent manufacturing, infatti, non può e non deve dipendere esclusivamente dalle giovani generazioni di diplomati e di laureati.
Gli intervistati pongono al secondo posto (dopo la formazione continua interna) le assunzioni di giovani con sapere IT nella transizione verso la manifattura intelligente.
In un contesto dove la mancanza di competenze ad hoc risulta il principale ostacolo all’innovazione digitale dell’industria manifatturiera, le aziende vedono nel PNRR una “mano tesa”, con l’80% del campione che lo considera uno strumento utile allo sviluppo concreto di competenze digitali e con il 76% che lo ritiene strategico per la digitalizzazione e la dematerializzazione dei processi (76%).
Tutti numeri, quelli qui riportati, che lasciano ben sperare in un cambiamento tangibile e reso più rapido. I mezzi ci sono, uniti al prendere sempre più corpo della consapevolezza circa l’importanza di avvalersene e i vantaggi che ne derivano.