Il Center for Bits and Atoms del Massachusetts Institute of Technology, in collaborazione con un centro di ricerca ateniese e un Ateneo cinese, ha lavorato a un metodo per la progettazione di piattaforme robotiche subacquee soft e scalabili, destinate a una più efficiente esplorazione e mappatura degli oceani.

TAKEAWAY

  • Le operazioni di osservazione e monitoraggio degli oceani se, da un alto, rappresentano un imperativo, dall’altro risentono delle criticità proprie degli ambienti acquatici, difficili da affrontare per le strutture tradizionali normalmente impiegate.
  • La natura fornisce soluzioni alternative al problema, ispirando la messa a punto di robot morbidi, flessibili e deformabili. E il recente studio capitanato dal MIT va ancora oltre, presentando un metodo per costruire strutture robotiche su diverse scale metriche, assemblando materiali reticolari ultraleggeri.
  • L’utilità di questo approccio è stata dimostrata in due modelli di soft robot acquatici: il primo è un robot simile a un serpente marino, in grado di generare spinta a specifici parametri di nuoto anguilliformi; il secondo è una struttura cosiddetta ad “ala di morphing”, cioè capace di cambiare continuamente forma per controllare il proprio movimento e modificare la propria rigidità.

Quando si tratta di soft robotics per applicazioni subacquee, il pensiero va all’80% del territorio oceanico ancora non mappato, inesplorato. Lacuna – questa – dovuta alle sfide che i veicoli e le strutture normalmente utilizzati nell’esplorazione dei fondali marini devono affrontare quando si trovano a operare in ambienti acquatici spesso biologicamente critici e che, invece, sistemi robotici “morbidi” (soft, appunto), ispirati alla natura (come i robot polpo, i robot a forma di pesce o dalle sembianze di una pianta) sono in grado di superare agilmente, proprio in un momento in cui osservare, monitorare e studiare gli oceani rappresenta un’urgenza, poiché la loro salute è gravemente minacciata dall’aumento della temperatura delle acque, dalla loro acidificazione e dell’inquinamento da plastica. In particolare:

«… rispetto ai tradizionali veicoli acquatici – tra cui i sottomarini a scafo rigido – la natura fornisce soluzioni alternative, dimostrandosi più rapida e sciolta nel superare i vincoli ambientali delle acque. Studi realizzati con pesci vivi e dispositivi biorobotici, ad esempio, hanno dimostrato che esistono alcune aree negli oceani con un ampio divario prestazionale tra le macchine artificiali e gli animali marini. Nello specifico, se paragonati ai veicoli a corpo rigido alimentati da eliche e getti d’acqua, la propulsione subacquea naturale è più flessibile. Il che comporta una maggiore efficienza propulsiva e una migliore manipolazione del profilo di forza»

osserva il team di ricerca guidato del Center for Bits and Atoms del Massachusetts Institute of Technology (MIT) che, in collaborazione col Biomolecular Physics Laboratory del Demokritos Research Center di Atene e l’Intelligent and Informational Fluid Mechanics Laboratory della Westlake University di Hangzhou, in Cina, ha firmato il recente studio “Modular Morphing Lattices for Large-Scale Underwater Continuum Robotic Structures”.

Ma vediamo insieme di che cosa si tratta [per approfondimenti sulla soft robotics, consigliamo la lettura della nostra guida al futuro della robotica, che ne illustra gli indirizzi e le applicazioni – ndr].

Soft robotics per applicazioni subacquee: l’alternativa ai classici approcci meccanici

Già in passato, avendo identificato il vantaggio di un corpo flessibile nel migliorare le prestazioni idrodinamiche, specialmente all’interno di un flusso d’acqua turbolento, diversi lavori di ricerca hanno integrato – nella progettazione di nuovi prototipi di nuoto – tale concetto con approcci meccanici classici.

Un esempio di tale integrazione tra corpo flessibile e approccio meccanico è il robot pesce di nome RoboTuna(progettato dal MIT in passato), sistema robotico subacqueo ispirato – appunto – ai movimenti dei pesci, il quale ha avuto il merito di dimostrare «le leggi di potenza che governano una propulsione instabile ma al tempo stesso efficiente e la riduzione della resistenza aerodinamica grazie al controllo del flusso» ricordano gli autori.

«Tuttavia – fanno notare – a differenza degli elementi presenti in natura, animali e piante, che riescono a ottenere singoli corpi coesi con complessi sottosistemi integrati, gli approcci meccanici classici generano sistemi indipendenti. Il che richiede molto tempo e molte risorse per integrarli perfettamente e farli funzionare. RoboTuna, ad esempio, era composto da più di 3000 parti uniche delicatamente assemblate. E il tutto ha richiesto tempo, costi elevati, lunga progettazione e molta manodopera».

È solo recentemente che la soft robotics è emersa come alternativa ai classici approcci meccanici per applicazioni subacquee, dimostrando come i materiali flessibili con cui sono costruiti i robot “morbidi” conferiscono loro proprietà meccaniche simili a quelle in natura, tali da consentire di muoversi tra gli ostacoli sottomarini e da riconfigurare continuamente la loro forma.

Addirittura, aggiungendo elastomeri dielettrici come “muscoli”, i ricercatori hanno dimostrato che un soft robot sottomarino è in grado di raggiungere «una velocità di nuoto pari allo 0,7 per cento della lunghezza del proprio corpo al secondo e di resistere alla potente pressione idrostatica nella Fossa delle Marianne», nell’area nord-occidentale dell’oceano Pacifico, considerata la più profonda depressione oceanica.

Problemi di progettazione e fabbricazione legati alle dimensioni

La questione, tuttavia, è un’altra. Tutte le applicazioni di soft robotics per esplorazioni subacquee – spiega il team di studio – condividono una dimensione su una scala di 0,1 m. La costruzione di tali robot pone notevoli sfide di progettazione, fabbricazione e controllo quando si passa alla scala del metro.

Uno dei motivi alla base di tale difficoltà è la dimensione degli utensili necessari alla fabbricazione dei soft robot. E, sebbene alcuni ricercatori siano ricorsi alla stampa 3D per costruire prototipi di robot morbidi con geometrie complesse, ottenere strutture su larga scala rappresenta ancora una sfida importante. Inoltre, la stampa 3D nasconde un rischio, ovvero quello di introdurre un potenziale maggiore di difetti su aree più grandi.

Quindi, nonostante le attuali metodologie abbiano dato risultati promettenti nella costruzione di soft robot acquatici su piccola scala, è difficile implementare tecnologie simili per mettere a punto strutture morbide subacquee di più grandi dimensioni e, allo steso tempo, capaci di resistere a grandi carichi idraulici.

«Va poi notato che trattare le strutture morbide rispetto a quelle dure come due estremi opposti è una falsa dicotomia, poiché molti robot soft flessibili e deformabili hanno dimostrato di trarre vantaggio sia dai componenti morbidi che da quelli duri nelle loro operazioni» osservano gli autori.

Soft robotics per applicazioni subacquee: la scelta di materiali reticolari ultraleggeri

Lo studio in tema di soft robotics per applicazioni subacquee, guidato dal Center for Bits and Atoms del Massachusetts Institute of Technology, intende invece affrontare la questione diversamente.

In particolare, il team – per la produzione di sistemi strutturali scalabili ad alte prestazioni, destinati ad applicazioni robotiche acquatiche flessibili – ha inteso utilizzare strutture cellulari che fossero, al tempo stesso, a bassa densità e ad alta rigidità e capaci di assemblarsi come metamateriali meccanici.

Nel dettaglio, questo approccio ha portato a «materiali reticolari ultraleggeri con proprietà meccaniche importanti, riconfigurabilità su larga scala ed elevata ripetibilità». Si tratta di un nuovo metodo per costruire robot morbidi acquatici più grandi, che combina due tipologie (rigide e cedevoli) di componenti:

«Queste strutture sono composte da celle unitarie eterogenee progettate su misura, in grado di trasformarsi meccanicamente mentre si comportano in modo strutturalmente efficiente rispetto alle forze idrodinamiche esterne»

precisa il gruppo di lavoro. Il quale, per dimostrare la validità della propria tecnologia, nel documento citato descrive la progettazione e la fabbricazione di due diversi soft robot subacquei: un serpente sottomarino di 1,5 metri e un’ala di morphing di 0,675 metri (struttura a forma di ala che cambia continuamente forma per controllare il proprio movimento e modificare la propria rigidità), entrambi abili nel trasformarsi «per migliorare il proprio comportamento idrodinamico».

Proprietà meccaniche e prestazioni idrodinamiche del serpente marino e dell’ala di morphing

In tema di soft robotics per applicazioni subacquee, i materiali reticolari impiegati nella costruzione del serpente sottomarino e dell’ala di morphing sono costituiti da parti modulari prodotte in serie, assemblate in modo da formare strutture monodimensionali, bidimensionali e tridimensionali con proprietà meccaniche programmabili.

«Selezionando una trave monodimensionale e una superficie bidimensionale, dimostriamo che combinando due tipi di parti diverse, una rigida e una flessibile, è possibile progettare una trave e una superficie eterogenee, con rigidità alla flessione controllata. Il loro azionamento è dato da un servomeccanismo con tendini che si estendono per tutta la lunghezza della struttura, creando così un cambiamento continuo bidirezionale della forma, tirando il tendine sinistro o destro».

illustrano gli autori. Dopo la messa a punto delle due strutture robotiche, il team ha misurato le loro prestazioni idrodinamiche in un test di traino.

Immagine che ritrae: A) Configurazione dell'esperimento che ha visto protagonista l’idroserpente (la struttura arancione nell’acqua), con 1) centro di controllo, 2) carro di rimorchio, 3) linee elettriche, 4) linee di segnale, 5) raccordo porta-serpente, (6) cella di carico, 7) sistema di inchiostro, 8) luci, 9) macchina fotografica. B) Ala di morphing nell'acqua, C) prove di traino per l'ala morphing: 1) centro di controllo, 2) carro di traino, 3) cella di carico, 4) ala morphing nell’acqua (Fonte: “Modular Morphing Lattices for Large-Scale Underwater Continuum Robotic Structures” - Center for Bits and Atoms, Massachusetts Institute of Technology).
A) Configurazione dell’esperimento che ha visto protagonista l’idroserpente (la struttura arancione nell’acqua), con 1) centro di controllo, 2) carro di rimorchio, 3) linee elettriche, 4) linee di segnale, 5) raccordo porta-serpente, (6) cella di carico, 7) sistema di inchiostro, 8) luci, 9) macchina fotografica. B) Ala di morphing nell’acqua, C) prove di traino per l’ala morphing: 1) centro di controllo, 2) carro di traino, 3) cella di carico, 4) ala morphing nell’acqua (Fonte: “Modular Morphing Lattices for Large-Scale Underwater Continuum Robotic Structures” – Center for Bits and Atoms, Massachusetts Institute of Technology).

Quello che è emerso – relativamente all’idroserpente – è che quest’ultimo ha subito un’ampia gamma di movimenti periodici, progettati per imitare la locomozione dei pesci anguilliformi. Il risultato dimostra che questa tipologia di robot subacqueo «è in grado di muoversi in modo naturale nell’acqua e di produrre efficacemente una spinta positiva netta, con determinati movimenti prescritti».

Per quanto riguarda, invece, l’ala di morphing, questa – durante il test – è stata in grado di esplorare la superficie della piscina, dando prova di saper modificare continuamente la propria forma per controllare il movimento e la rigidità.

«Il risultato ottenuto – commentano i ricercatori – dimostra che il sistema robotico è in grado di raggiungere lo stesso rapporto portanza-resistenza, senza modificare drasticamente la struttura dell’intero corpo».

Soft robotics per applicazioni subacquee: la ricerca futura

Lo studio del Center for Bits and Atoms del MIT in tema di soft robotics per applicazioni subacquee rappresenta, nel settore, il primo passo nell’ambito della progettazione (per il momento solo concettuale) di robot idrodinamici cellulari a deformazione continua su larga scala.

Le tecnologie sviluppate, in futuro, potrebbero condurre ad applicazioni atte a ridurre le varie forme di resistenza delle navi, giungendo ad abbattere le loro emissioni di gas serra. Anche se – avverte il gruppo di ricerca – c’è ancora molto lavoro da fare.

L’attuale test idrodinamico, infatti, dimostra solo «la capacità e non l’ottimalità delle prestazioni idrodinamiche dei due sistemi robotici sottomarini. Tuttavia, sappiamo che, in natura, gli animali acquatici possono ottenere prestazioni più elevate nella produzione di grandi forze di spinta. In futuro, dovremo dunque esplorare la combinazione ottimale dei vari parametri di input e il loro effetto sulle prestazioni idrodinamiche delle piattaforme robotiche».

Inoltre, i ricercatori hanno rilevato che le varie pinne sul corpo dei pesci svolgono un ruolo significativo nella manipolazione del flusso attorno a loro e, quindi, nel miglioramento dell’efficienza idrodinamica e della manovrabilità. Pertanto, in futuro, si dovrà provare a integrare varie forme di dispositivi ispirati alla pinna dorsale e caudale nell’attuale progetto, al fine di migliorarne le prestazioni idrodinamiche.

Un altro aspetto sui cui lavorare concerne, infine, il materiale reticolare utilizzato che, sia per quanto attiene ai sistemi di attuazione che a quelli della pelle con cui sono stati rivestiti i due soft robot acquatici, può essere migliorato in modo significativo.

Infine, l’idroserpente è stato azionato utilizzando un sistema servomeccanico ad anello aperto, «che porta a discrepanze tra le simulazioni e la forma ottenuta sott’acqua. Per ottenere una maggiore coerenza di forma sui modelli futuri, bisognerà esplorare nuove soluzioni» anticipa il team di studio.

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