La scienza che progetta robot morbidi e deformabili, nati ispirandosi a polpi e a piante, oggi conosce uno sviluppo incredibile. Merito anche della ricerca italiana, che sta lavorando per la robotica del futuro, utile anche per creare organi vitali.

TAKEAWAY

  • La soft robotics, branca della robotica, cresce esponenzialmente: il suo valore di mercato è stimato passare da 783,30 milioni di dollari nel 2019 a 4,7 miliardi di dollari entro il 2025, con un CAGR del 40,5% nel periodo di previsione 2020 – 2025 (ResearchAndMarkets).
  • L’Italia è tra i primi Paesi a svolgere ricerca sui soft robot e conta oggi su una comunità di rilievo internazionale. Due scienziate nel 2015 sono state inserite tra le 25 donne geniali nella classifica di RoboHub.
  • Meccatronica e biomedicale sono due dei più interessanti campi applicativi della soft robotics. Nel futuro è possibile pensare a creare versioni robotiche di organi vitali, come comprova il progetto di ricerca sul cuore robotico bioispirato.

Nello sviluppo della soft robotics, branca della robotica tesa a uno sviluppo esponenziale, l’Italia ha un ruolo fondamentale. Le stime di mercato prevedono che il suo valore passerà da poco più di 780 milioni di dollari del 2019 a 4,7 miliardi nel 2025. A giustificare stime così ottimistiche contribuiscono le sue potenzialità ampie e promettenti, che la vedranno protagonista di vari ambiti, dalla meccatronica alla biomedicina.

A contribuire alla sua nascita e ascesa mondiale, la ricerca sulla soft robotics in Italia conta un nutrito gruppo di esperti, tra le quali vanno segnalate Cecilia Laschi e Barbara Mazzolai. Grazie al loro lavoro innovativo, le due scienziate nel 2015 sono state inserite tra le 25 donne geniali nella classifica di RoboHub, la maggiore comunità scientifica internazionale formata da esperti in materia. E oggi entrambe sono impegnate allo sviluppo di nuovi soft robot per migliorare la vita in vari campi.

Soft robotics: cos’è e quale importanza ha l’Italia

Cecilia Laschi
Cecilia Laschi, dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (credit: Jennie Hills, The Science Museum, London)

La soft robotics è un campo interdisciplinare che si occupa di robot costruiti con materiali morbidi e deformabili, “in grado di interagire con gli esseri umani e l’ambiente circostante”, rammenta Cecilia Laschi.

Docente di Bioingegneria industriale nonché responsabile scientifica area soft robotics dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, da cui è attualmente in aspettativa; da un mese circa sta lavorando alla National University of Singapore.

È lei la creatrice di un robot polpo che ha spinto decisamente più in là la ricerca sulla soft robotics in Italia. La sua importanza è stata riconosciuta dalla Commissione Europea che scelse proprio l’istituto di Pisa a capo del primo network UE di laboratori interamente dedicato a questa disciplina.

Da quel primo lavoro si sono gettate le basi per creare una comunità scientifica in Italia, dedicata a questa branca che è stata riconosciuta in ambito internazionale: il nostro Paese ha ospitato il primo congresso mondiale di soft robotics, nel 2018.

Robot morbidi e duttili, ecco perché è nata la soft robotics

Ma perché è nata? La motivazione scientifica è legata alla volontà di modificare il corpo del robot per renderlo più biomorfo, morbido e meno rigido. Come è efficace nel caso degli esseri umani e animali, così si è pensato di applicarlo a una macchina.

Si sono messi in atto i principi della embodied intelligence, che vede il corpo fisico svolgere un ruolo determinante nell’intelligenza artificiale, non tanto per svolgere compiti logici, ma soprattutto per garantire un’efficiente coordinazione senso-motoria ai soft robot, assicurando movimenti sempre rapidi e reattivi.

Laschi e il team di ricerca hanno spinto questi concetti fino ad arrivare alla creazione del robot polpo, studiando anche elementi di biologia e anatomia: “Un perfetto esempio di animale dotato di una certa intelligenza, capace di fare manipolazione, perfetto per muoversi nel proprio ambiente, generando forza malgrado un corpo morbido“.

La sfida scientifica è stata raccolta e vinta. “Tuttavia il fine era arrivare a dimostrare che se si fosse riusciti a creare un robot morbido capace di essere elastico, ma anche rigido quando necessario, le applicazioni dove attuare questi studi sarebbero stati molteplici”. Così è stato, come spiega bene lo stesso sito web dell’Istituto pisano:

La soft robotics non è solo una nuova frontiera dello sviluppo tecnologico, ma un nuovo modo di avvicinarsi alla robotica, scardinando le convenzioni e sfruttando un potenziale tutto nuovo per la produzione di una nuova generazione di robot capaci di sostenere l’uomo in ambienti naturali

Le applicazioni: dall’industria alla medicina

Così, a partire dalle prime creazioni di soft robotics – ricordiamo anche Plantoide, il robot che riproduce il comportamento delle piante, creato dal team guidato da Barbara Mazzolai – lo sviluppo della branca di robot soft è stato esponenziale e diffuso in varie parti del mondo, dal MIT di Boston al Soft Lab dell’università di Bristol.

Oltre i tanti esempi di progetti di ricerca nati per sondare le prospettive e le potenzialità, ci sono già le prime applicazioni pratiche, per esempio in campo biomedico. In quest’ultimo campo le soluzioni allo studio più interessanti riguardano l’esplorazione del corpo umano.

Pensiamo alle endoscopie: sfruttando le proprietà di morbidezza del robot, si possono poi apprezzare la capacità di irrigidirsi per svolgere un intervento chirurgico mirato. Un altro progetto, condotto dallo staff pisano è stato rivolto a creare una sorta di braccio d’ausilio per gli anziani in doccia.

Quest’ultimo esempio fa comprendere come la bioispirazione non sia sempre necessaria nell’applicazione finale – rispetto alla biorobotica pura – anche se sono diversi i progetti che traggono ispirazione al mondo animale o vegetale.

E oggi si lavora per portare robot morbidi anche in campo industriale. È l’obiettivo su cui lavora la soft robotics in Italia, con, ad esempio, il Soft Mechatronics for BioRobotics Lab, attivo sempre alla Sant’Anna di Pisa. L’utilizzo di componenti soft, elastici e deformabili con rigidità variabile infatti è un fattore chiave per garantire interazioni sicure ed efficaci in ambienti non strutturati, aprendo ai robot una vasta gamma di possibilità di applicazione, anche per la meccatronica, spaziando da nuovi sensori ad attuatori, batterie e meccanismi flessibili.

Robotica autorigenerante, ecologica, circolare: le prospettive green della soft robotics

Ma il futuro di questa branca tra robotica e biorobotica va ancora più in là e guardano anche alla sostenibilità ambientale:

L’idea è creare sì nuove applicazioni robotiche, ma più attente non solo ai bisogni dell’uomo, ma dello stesso pianeta Terra

sottolinea Cecilia Laschi. Da qui la volontà di creare materiali sempre più biodegradabili, auto riparabili e capaci di generare l’energia che gli è necessaria per funzionare o di puntare all’efficienza energetica.

Si apre un mondo nuovo, che vede all’opera esperti di vari campi, compresi i material scientist, ovvero gli esperti di nuovi materiali, per realizzare robot con capacità biomorfe: “Il mio sogno è creare un robot che si rigenera, come fa il polpo oppure, come sta portando avanti Barbara Mazzolai, robot capaci di crescere, ispirandosi alle piante”.

Ora si lavora alla ricerca di biocompatibili per creare robot marini, ma anche per spingersi verso la realizzazione non solo di protesi, ma addirittura di organi artificiali.

Oggi si lavora a simulatori di organi che aiutino i medici nella sperimentazione, ma un giorno prevedo organi robot impiantabili”, conclude Cecilia Laschi. In questo senso, l’Italia già vi sta lavorando: Matteo Cianchetti, responsabile della Soft Mechatronics for BioRobotics Lab della Sant’Anna è parte del team di Hybrid Heart, progetto europeo finanziato da Horizon 2020 finalizzato alla realizzazione di un cuore robotico bioispirato.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin