Dalla messa a punto di un processo cattura-utilizzo simultaneo, un modello inedito di Carbon Capture and Utilization convalidato fuori dal laboratorio, con dimostrazione su scala pilota del suo impatto ambientale e della sua redditività economica.

È un dato acquisito che, nel mondo, i grossi quantitativi di anidride carbonica introdotti nell’atmosfera dalle attività umane (36,8 miliardi di tonnellate in un anno, secondo il Global Carbon Budget 2023) costituiscano l’elemento che maggiormente contribuisce all’aumento della temperatura media del Pianeta, con effetti diretti sul cambiamento climatico.

L’accordo di Parigi del 2015 ha sancito il limite dell’innalzamento della temperatura globale sotto i 2°C «e, se possibile, sotto 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali», ma è stata l’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – la COP28 – tenutasi a Dubai dal 30 novembre al 13 dicembre 2023, a fissare definitamente a 1,5°C il limite massimo, oltre alla riduzione del 43% delle emissioni di gas serra entro il 2030 e del 60% entro il 2035.

Tuttavia, qui, il problema non è solo quello di “ridurre” le emissioni frenando l’utilizzo di combustibili fossili(carbone, petrolio e gas artificiali, tra cui i clorofluorocarburi, solo per citarne alcuni) come fonte energetica per elettricità, riscaldamento e mezzi di trasporto, nonché come materia prima in ambito industriale.

Se davvero si intendono prevenire i risvolti pericolosi del cambiamento climatico in atto, l’imperativo, oltre che a mitigare l’immissione di sempre nuove quantità di anidride carbonica (nota anche come “diossido“ o “biossido” di carbonio”) nell’atmosfera terrestre, deve essere teso anche a rimuovere quella già presente e a riutilizzarla – trasformata – per altri scopi.


Un lavoro di ricerca coreano sulla conversione dell’anidride carbonica in acido formico ha sviluppato una metodologia in grado di abbattere il consumo energetico del processo di trasformazione della CO2, il rischio di decomposizione del composto ottenuto e i costi di produzione.
L’esclusività del processo di cattura-utilizzo-produzione ideato consiste nel mettere alla prova la sua operatività in un impianto pilota che produce 10 kg di acido formico al giorno, con un tasso di conversione di CO2 dell’82%.
Tra gli scenari futuri ipotizzabili, le applicazioni dell’acido formico come fonte alternativa di energia, sfruttando il suo utilizzo in qualità di vettore di idrogeno. Scenario – questo – in cui il modello di trasformazione del diossido di carbonio in acido formico mediante idrogenazione, rappresenterebbe una leva strategica.

Come avviene la cattura del diossido di carbonio

Rimuovere la CO2 dall’atmosfera significa “catturarla”, estraendola da diverse applicazioni e condizioni del flusso. Un processo naturale di cattura avviene – anche se lentamente – attraverso le piante e le foreste, le acque e il suolo, capaci di assorbire l’anidride carbonica globale.

Gli approcci tecnologici messi a punto nell’ultimo decennio a tale scopo sono molteplici, ciascuno caratterizzato da metodologie proprie. Tra i più recenti, quello denominato Direct Air Capture (DAC), sviluppato da un team della Tokyo Metropolitan University e descritto in “Direct Air Capture of CO2 Using a Liquid Amine–Solid Carbamic Acid Phase-Separation System Using Diamines Bearing an Aminocyclohexyl Group” (Rivista ACS Environmental Science&Technology, 2022), in base al quale la cattura del diossido di carbonio avviene direttamente dall’atmosfera, per mezzo di un impianto che risucchia l’aria e la deposita in un ambiente provvisto di un filtro che, per l’appunto, “cattura” le molecole di CO2 e le immagazzina, per poi riutilizzarle al fine di produrre altro che sia sostenibile per l’ambiente. Al contrario, l’aria scevra di anidride carbonica viene rilasciata nell’atmosfera.

Un’altra tecnologia, ultima in ordine di tempo, perché sviluppata a dicembre 2023 dai ricercatori del Politecnico di Zurigo e della Sorbona di Parigi, prevede l’impiego di molecole che, sottoposte a illuminazione e guidate dalla luce, rilasciano protoni «dalla capacità di alterare il pH di alcuni composti e risultati interessanti per un’ampia varietà di applicazioni, inclusa la cattura di anidride carbonica» [fonte: “Solvation-Tuned Photoacid as a Stable Light-Driven pH Switch for CO2Capture and Release” – Rivista “Chemistry of Materials”, dicembre 2023].

La differenza tra “cattura e stoccaggio” e “cattura e utilizzo” della CO2

Oltre alla cattura del diossido di carbonio e alla reimmissione, nell’atmosfera, dell’aria privata delle sue molecole, esiste anche il processo di Carbon Capture and Storage (CCS), in cui il sequestro di anidride carbonica è finalizzato al suo stoccaggio in giacimenti nel sottosuolo terrestre (a una profondità compresa tra 1 e 3 chilometri) o nel sottosuolo marino (la Norvegia ne è un esempio), con l’obiettivo di tenerla fuori dall’atmosfera prima ancora che venga emessa. Dunque, il sequestro avviene alla fonte, presso i sistemi di scarico delle centrali elettriche o delle diverse lavorazioni industriali [fonte: “Carbon Capture and Storage” – ScienceDirect].

Tra le tecniche più diffuse per mitigare le emissioni di CO2 derivate dall’attività umana, la CCS è, attualmente, nella fase iniziale di commercializzazione. Secondo Bloomberg New Energy Finance, le sue metodologie continueranno a evolvere e a penetrare in più mercati, con una crescita del settore che, entro il 2035, raggiungerà, a livello globale, i 420 milioni di tonnellate di CO2 sequestrate e stoccate all’anno.

Tutt’altro fronte quello della cattura e dell’utilizzo del diossido di carbonio, indicato con l’acronimo inglese di Carbon Capture and Utilization (CCU), processo che comprende, oltre al sequestro di anidride carbonica, la sua trasformazione in prodotti compatibili con l’ecosistema, creando, al medesimo tempo, nuovi business e nuove opportunità economiche.

Un esempio di CCU è quello che vede la CO2 partecipe, all’interno di un reattore, del processo catalitico per la conversione dell’idrogeno in metanolo verde. Ma può essere impiegata anche per produrre bevande gassate, ghiaccio secco e carbonati solidi per materiali da costruzione.

I dati dell’International Energy Agency – IEA parlano dell’utilizzo «di circa 210 milioni di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, principalmente nell’industria dei fertilizzanti, per la produzione di urea – circa 130 milioni di tonnellate – e per il recupero potenziato del petrolio, con circa 80 milioni di tonnellate».

Carbon Capture and Utilization: la centralità degli impianti pilota

In uno studio a cura dell’Institute of Science and Technology di Seoul e del Department of Chemical and Biological Engineering, presso la Korea University [“Accelerating the net-zero economy with CO2-hydrogenated formic acid production: Process development and pilot plant demonstration” – rivista Joule, numero di marzo 2024], gli autori osservano che, rispetto alla cattura e allo stoccaggio, il processo di cattura e utilizzo del diossido di carbonio presenta una maggiore complessità, data dalle laboriose procedure di conversione della CO2, oltre che dai costi di produzione elevati del prodotto che ne deriva.

Ad oggi – fanno notare – «sono pochi i progetti di Carbon Capture and Utilization realmente praticabili perché economicamente sostenibili e, al contempo, senza alcun impatto sull’ambiente». La maggior parte di essi risente di problematiche che riguardano, in particolare, le prestazioni dei reattori deputati alla conversione dell’anidride carbonica e – aspetto ancora più rilevante – gli alti livelli di consumo energetico dei processi di trasformazione della CO2, che portano, essi stessi, a un aumento delle emissioni. Un circolo vizioso, insomma.

Ecco che, in questo scenario critico, gli impianti di produzione pilota – spiega il team coreano – giocano un ruolo chiave per due ragioni: consentono di prendere tempestivamente visione delle falle operative del sistema cattura-utilizzo del diossido di carbonio (tra cui, appunto, le scarse performance dei reattori) e delle loro conseguenze sull’integrità del prodotto ottenuto dalla conversione; mettono nelle condizioni di raggiungere risultati sempre più promettenti nel funzionamento continuo del sistema, accelerando, in questo, modo la sua commercializzazione.

Acido formico dalla CO2: lo sviluppo del processo

In tema di cattura e utilizzo del diossido di carbonio, il gruppo di lavoro dell’IST di Seoul e dell’Ateneo coreano si è focalizzato sulla conversione dell’anidride carbonica in acido formico mediante idrogenazione.

L’acido formico (detto anche acido metanoico) è un composto chimico presente in natura, dalla facile degradazione in acqua. Lo ritroviamo in alcuni organismi vegetali, tra cui gli aghi di pino, e in alcuni tipi di frutta come, ad esempio, l’uva. È impiegato nell’ambito della lavorazione di pelli e tessuti, della conservazione dei mangimi per animali, come detergente e decalcificante nei prodotti per la pulizia, nella produzione di gomma sintetica e in molti altri settori. Ma l’obiettivo della comunità scientifica internazionale è arrivare all’utilizzo su larga scala dell’acido formico come fonte alternativa di energia.

«Attualmente, l’acido formico detiene un ampio mercato, che ne consuma circa un milione di tonnellate all’anno, destinato a crescere, in futuro, grazie al suo potenziale utilizzo come vettore di idrogeno. Inoltre, ha un’efficienza produttiva maggiore rispetto ad altri prodotti chimici basati sulla Carbon Capture and Utilization, poiché può essere prodotto da una singola molecola di CO2» sottolineano gli autori.

Nel dettaglio, il lavoro di trasformazione dell’anidride carbonica in acido formico si è avvalso dell’1-metilpirrolidina che, tra i vari composti finalizzati alla mediazione delle reazioni chimiche che hanno luogo durante la produzione di acido formico, è quello che presenta il tasso di conversione di diossido di carbonio più elevato.

Un altro motivo che ha guidato nella scelta dell’1-metilpirrolidina ha a che vedere con la sua capacità di ottimizzare i livelli di temperatura e di pressione del reattore che – nel caso specifico dello studio citato – contiene un catalizzatore a base di un elemento chimico denominato “rutenio” (Ru). Sistema – questo – «che ha consentito di portare il tasso di conversione della CO2 a oltre il doppio del livello attuale del 38%».

Il team ha, poi, sviluppato un processo di cattura-utilizzo simultaneo, in grado, cioè, di trasformare direttamente l’anidride carbonica sequestrata all’interno dell’1-metilpirrolidina senza separarla. Il che si è tradotto in un minore consumo di energia e in un minore rischio di decomposizione dell’acido formico.

«Con questa metodologia, siamo riusciti a ridurre il costo di produzione dell’acido formico da circa 790 dollari per tonnellata a 490 dollari per tonnellata, mitigando al tempo stesso le emissioni, rispetto alla sua produzione convenzionale»

rimarca il gruppo di ricerca.

Acido formico ottenuto dalla CO2: il potenziale di commercializzazione

Questo non è certo il primo modello di conversione dell’anidride carbonica in acido formico. A partire dall’Accordo di Parigi sul clima, stipulato a dicembre 2015, sono stati numerosi, nel mondo, i lavori sul tema, ognuno caratterizzato da tecniche diverse, ma accomunati dall’essere condotti su piccola scala in laboratorio.

Il 30 gennaio 2024 viene pubblicato online l’articolo che illustra lo studio coreano citato – poi apparso sul numero di marzo 2024 della rivista cartacea Joule – e proprio pochi giorni dopo, il 7 febbraio 2024, viene resa pubblica un’altra ricerca sull’acido formico ottenuto dalla CO2, a cura dell’Università neozelandese di Auckland, la cui particolarità consiste nell’avere messo a punto un sistema di conversione basato su una riduzione elettrochimica in ambiente acido anziché alcalino, servendosi di batterie al piombo acido a fine vita.

La peculiarità del sistema ideato dai ricercatori dell’Institute of Science and Technology di Seoul e della Korea University sta, invece, nel testare il potenziale di commercializzazione del proprio processo di cattura-conversione-produzione, mettendo in piedi, contestualmente, un impianto pilota capace di produrre 10 kg di acido formico al giorno (ottenendo un tasso di conversione di CO2 dell’82%), con l’obiettivo di crearne uno più ampio, da 100 kg al giorno, entro il 2025.

Solo dopo una verifica dell’intera operatività, il team potrà puntare, presumibilmente entro il 2030, alla commercializzazione del processo di idrogenazione della CO2 sviluppato.

I dati ricavati dal funzionamento dell’impianto pilota sono stati implementati in un simulatore di processo, allo scopo di elaborare un modello che sia completamente convalidato. Per il momento – conclude il gruppo di lavoro – «l’analisi tecnico-economica effettuata e i risultati della valutazione del ciclo di vita del modello di simulazione, indicano che il processo proposto riduce il livello di impatto del riscaldamento globale del 42%,abbassando, al contempo, i costi di produzione del 37% rispetto al processo convenzionale per la produzione di acido formico».

Glimpses of Futures

Lo studio illustrato, previa verifica, nel tempo, dell’intera operatività del sistema definito dai suoi autori, costituisce una sorta di modello, di “manuale per lo sviluppo di una soluzione praticabile – sia dal punto di vista dei costi da sostenere che dei consumi energetici riferiti ai processi di lavorazione – destinata all’utilizzo dell’anidride carbonica catturata, mostrandone la redditività economica e la riduzione dell’impatto ambientale che è in grado di garantire.

Ora, con l’intento di anticipare possibili scenari futuri, cerchiamo di ipotizzare – mediante la matrice STEPS – gli impatti che questo tipo di soluzione potrebbe avere sotto il profilo sociale, tecnologico, economico, politico e della sostenibilità.

S – SOCIAL: probabilmente non esiste una quantità di gas serra e un aumento delle temperature superiori ai livelli preindustriali che siano “sicure” per la salute. A tale riguardo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità evidenzia come, nell’arco di vent’anni, in tutto il mondo, il tasso di mortalità per il caldo eccessivo tra coloro che hanno più di sessantacinque anni sia aumentato del 70% e come questo rischio, insieme a quello dell’insorgenza di patologie legate all’incremento delle emissioni, siano maggiori nelle aree più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Questo è il costo sociale del riscaldamento globale, di fronte al quale l’impiego futuro, in tutti i Paesi, di sistemi di Carbon Capture and Utilization come quello che ha portato alla conversione della CO2 in acido formico e alla creazione di un impianto pilota per testarne la concreta fattibilità, potrebbe rientrare nel quadro delle politiche volte a contribuire in modo fattivo al benessere e alla salute delle popolazioni di tutto il mondo.

T – TECNOLOGICAL: in futuro, l’evoluzione del processo di idrogenazione della CO2 per la generazione di acido formico dovrà passare attraverso il perfezionamento delle prestazioni che hanno a che vedere con le reazioni chimiche durante la conversione e con la simultaneità delle operazioni di cattura-utilizzo. Sarà, poi, fondamentale – avvertono gli autori – «verificare l’intero sistema su una scala più ampia, affinché gli ostacoli pratici possano essere risolti in modo ancora più puntuale, producendo risultati più affidabili nella valutazione economica e ambientale, volti a fornire prove per un ulteriore sviluppo e un maggiore potenziale di commercializzazione del processo». Inoltre, come già accade nella conversione di idrogeno e anidride carbonica in metanolo verde, a tendere, anche il passaggio da diossido di carbonio ad acido formico potrebbe incrociare le tecniche di intelligenza artificiale, ad esempio, per abilitare l’analisi predittiva in merito a eventuali innalzamenti dei livelli di temperatura e di pressione del reattore in cui ha luogo la trasformazione del composto.

E – ECONOMIC: il sistema di cattura-conversione-produzione ideato dal team coreano, che vede al centro l’anidride carbonica e il suo riciclo in veste di sostanza non nociva per l’atmosfera terrestre, verrà commercializzato entro il 2030, dopo una valutazione dei suoi processi e della sua redditività. Immaginando uno scenario futuro in cui l’esito delle verifiche sarà positivo e tenuto conto delle dimensioni del mercato globale dell’acido formico (valutato a 1,86 miliardi di dollari nel 2022, con una crescita da 3,85 miliardi di dollari entro il 2030), nonché delle rosee previsioni del Global CCS Institute sul valore del mercato globale delle tecnologie per la cattura e l’utilizzo del carbonio (18 miliardi di dollari entro il 2030), l’aspettativa è di un aumento degli investimenti in questo settore, intesi sia in termini di finanziamenti di progetti su larga scala che di finanziamenti in capitale di rischio di startup innovative. Anche se gli analisti di ING Think frenano gli entusiasmi, ricordandoci che i progetti in ambito CCU richiedono anni per essere sviluppati e la loro pianificazione spesso subisce momenti di stasi. L’esempio che citano è quello degli Stati Uniti, dove «l’introduzione dell’Inflation Reduction Act (IRA), nell’agosto 2022, ha suscitato grande entusiasmo per le tecnologie CCS e CCU. Ma, quasi due anni dopo, l’ottimismo si è raffreddato, poiché la maggior parte dei dettagli essenziali devono ancora essere elaborati da Enti governativi a corto di personale. Di conseguenza, i processi di candidatura sono lunghi e macchinosi e ciò rende i proprietari dei progetti cauti nel prendere le decisioni finali sugli investimenti».

P – POLITICAL: nell’Unione europea, il modello di Carbon Capture and Utilization presentato dagli autori con, a supporto, un impianto pilota per metterlo alla prova anche dal punto di vista della sua redditività economica, in futuro, potrebbe rientrare nel quadro previsto dal Net-zero Industry Act (la cui proposta è divenuta, il 6 febbraio 2024, accoro provvisorio) sull’incremento dello sviluppo di quelle tecnologie a sostegno del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, in linea col Green Deal europeo. Il recente studio descritto in “Carbon capture and utilization under EU law: impermanent storage of CO2 in products and pre-combustion carbon capture” (Journal of World Energy Law & Business, 9 maggio 2024) pone in luce, da parte dell’UE, «sebbene abbia compiuto passi da gigante nel promuovere la CCU come percorso praticabile per la decarbonizzazione», l’esigenza di adottare approcci innovativi nel riciclo e nella conversione dell’anidride carbonica, finalizzati a realizzare il pieno potenziale della Carbon Capture and Utilization nel promuovere un futuro sostenibile per l’Europa. L’impatto del sistema di CCU illustrato potrebbe riguardare, in particolare, quei settori storicamente energivori, come quello del cemento, del ferro e dell’acciaio e della produzione di energia, nei quali, sempre secondo Bloomberg New Agency Finance, i processi di cattura e stoccaggio e di cattura e utilizzo di CO2, nei prossimi anni, penetreranno sempre di più.

S – SUSTAINABILITY: parallelamente alle politiche di abbandono dei combustibili fossili e di adozione delle energie rinnovabili, intensificare l’impiego di sistemi di Carbon Capture and Utilization come quello proposto dall’IST di Seoul e dalla Korea University, significa vedere amplificate le possibilità di raggiugere, nei prossimi due decenni, l’obiettivo globale delle emissioni nette pari a zero e di promuovere l’economia circolare del carbonio. Per quanto concerne, poi, le applicazioni dell’acido formico, è il suo impiego come fonte alternativa di energia l’interesse maggiore da parte del mondo della ricerca, che resta focalizzato sul suo utilizzo come vettore di idrogeno. Risale a marzo del 2018 la realizzazione, da parte del Politecnico di Losanna, del primo alimentatore in grado di produrre elettricità, per mezzo di una cella a combustibile, grazie all’idrogeno estratto dall’acido formico. Da quel momento, si studiano soluzioni su larga scala, cercando di superare lo scoglio dei costi e dei consumi energetici dei reattori. Il modello descritto, di conversione dell’anidride carbonica in acido formico mediante idrogenazione, in futuro, se dovesse essere convalidato dalle verifiche sull’impianto pilota, potrebbe fungere da leva per l’inaugurazione di un nuovo corso di studi sulla CCU applicata alla ricerca sull’idrogeno.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin