Stiamo vivendo una crisi di immaginazione. In passato abbiamo colonizzato tutti i possibili futuri, quasi sempre con distopie già pensate da tempo, e adesso non sappiamo definire quel che vogliamo. Cioè, sappiamo benissimo cosa non vogliamo, ma non siamo in grado di pensare in positivo e definire un mondo desiderabile. Il mondo ideale, per molte persone, alla fine viene costruito per sottrazione: diverso da quello che temono e che non vogliono. Un mondo di no, anziché un mondo di sì.

Parlare con Maurizio Goetz è difficile. Non perché non sia disponibile (lo è) o perché non ci sia tempo per farlo (abbiamo avuto tutto il tempo che serviva). Invece, il cofondatore dello Speculative Design Hub, progetto dell’Italian Institute for the Future, richiede ai suoi interlocutori un vero e proprio salto intellettuale, un cambio di attitudine, un mutamento di punto di vista. Ed è tutto voluto e pianificato.

Immaginare un mondo desiderabile

«La nostra riflessione personale – dice durante un videoincontro tra Milano e il suo ufficio di Napoli – non è tanto come ChatGPT modificherà il mondo del lavoro: non è questo il mio punto di partenza. Invece, è come posso utilizzare le tecnologie, ad esempio le AI generative e il metaverso, per sviluppare un pensiero immaginativo capace di costruire nuovo valore e un mondo migliore rispetto a quello attuale. È partendo da questo punto di vista che riesco a capire un’idea, come valutarla e partire in maniera pragmatica a immaginare come sia fatto un mondo desiderabile».

Maurizio Goetz, cofondatore dello Speculative Design Hub, progetto dell’Italian Institute for the Future
Maurizio Goetz, cofondatore dello Speculative Design Hub, progetto dell’Italian Institute for the Future

Lo Speculative Design Hub è un centro focalizzato sui temi dello Speculative Design, del Design Fiction, Critical Design, dei futuri immersivi ed esperienziali. È stato cofondato da Goetz con Gloria Puppi e Joice Preira. Se l’Italian Institute for Future Studies, fondato nel 2013, ha come obiettivo la diffusione della cultura dell’anticipazione, l’hub “stringe” sull’idea di sviluppare nuovi approcci di futuro interdisciplinari, inclusivi, partecipativi. Lo fa con una metodologia scientifica e in collaborazione enti di ricerca pubblici e privati nazionali ed internazionali, ricercatori, artisti e scrittori.

«Il termine futuro è innanzitutto un termine plurale: futuri. L’intero corpo di studi dei futuristi è cambiato nel tempo: siamo passati da una logica previsionale a un ragionamento attorno all’impossibilità di prevedere il futuro, soprattutto nel lungo periodo. La logica a cui tendono questi studi oggi è preparare la riflessione su possibili scenari di futuro. Per questo si è iniziato a parlare di futuri al plurale. E la logica non è più tanto quella della previsione quanto dell’anticipazione, quindi una riflessione da una parte sulle potenzialità dei futuri possibili, plausibili e desiderabili e, dall’altra sulle decisioni che devono essere prese nel presente per andare a costruire il futuro che viene considerato più desiderabile».

Questa logica di approcci ha, nella spiegazione di Goetz, una forte interdipedenza.

«I futuristi mettono l’oggetto del futuro come un elemento di analisi. Il futuro diventa un elemento centrale per quelle che sono fondamentalmente due logiche che si influenzano reciprocamente. Da una parte, le idee di futuro che lo condizionano; dall’altra parte, le possibili idee legate a quel che potrebbe succedere sulla base di tendenze e scenari, come ad esempio l’invecchiamento della popolazione, la crescente urbanizzazione, il consumo di territorio e il consumo delle risorse. Qui si innesta la riflessione di quali possono essere le possibilità di intervento oggi. Rispetto a questi approcci io mi sto differenziando».

Addestrare le capacità immaginative

Da oltre 25 anni Goetz si occupa di processi d’innovazione delle competenze. È co-creatore della metodologia del Tourist Experience Design e collabora con istituzioni formative e aziende per diffondere l’approccio di Imagination Design Coaching, un insieme di metodologie create per addestrare le capacità immaginative prospettiche per lo sviluppo di nuove visioni strategiche orientate al futuro.

«Mi sto differenziando anche perché – dice – il futuro in quanto tale non esiste. Può essere immaginato e quindi non ha un’unica modalità per essere maneggiato: lo hanno fatto filosofi, psicologici, lo fanno imprenditori. Ognuno con modalità diverse. Ad esempio, i futuristi italiani hanno iniziato a lavorare su un corpus di tecnologie che caratterizzano il mestiere del futurista e lo differenziano da altri mestieri. È un approccio possibile. Un altro invece è quello della scuola internazionale, ad esempio dell’Institute For The Future americano, che ha un approccio multidisciplinare e ragiona sul futuro su più chiavi di lettura. L’IFTF utilizza metodologie consolidate ed emergenti che hanno natura scientifica (cioè che partono da previsioni sociali e differenti metodi di foresight) e che si allargano ad altre discipline con un approccio più critico e speculativo come lo Speculative Design, o con approcci di tipo più creativo e immaginativo, che partono da una sorta di integrazione di metodi scientifici con metodi di tipo creativo».

Come dicevamo, parlare con Maurizio Goetz è difficile perché, non solo disegna in maniera analitica il quadro all’interno del quale si muove, cioè i future studies, ma ne fa emergere la complessità e le sfumature, portando il discorso verso un punto di arrivo che è poi la sua partenza, cioè la ragione delle sue scelte.

«I futuristi tengono l’oggetto del futuro come elemento di analisi centrale. Dal mio punto di vista, il mio oggetto personale centrale invece è l’immaginazione speculativa. Alcuni anni fa negli ambienti dei futuristi ho iniziato a proporre un approccio differente partendo non dal futuro come oggetto ma dalla mente che immagina il futuro. Con l’idea non di capire i possibili metodi di previsione del futuro, anche se ovviamente ci lavoro, ma quali sono i presupposti che portano diverse persone a rapportarsi con il futuro dal punto di vista immaginativo».

È un cambiamento di prospettiva che va colto, importante ma sottile, almeno nelle sue motivazioni perché ha conseguenze enormi sul metodo di lavoro e sui risultati.

«Si ragiona – dice Goetz – mettendo assieme neuroscienze, psicologia cognitiva, la filosofia. E si vede così che persone differenti arrivano a ragionare oppure rifiutano di ragionare sul futuro per motivazioni diverse. Così, con questo punto di vista ho iniziato a occuparmi di Immagination Design e immaginazione strategica. Il mio punto di vista sono diventate le diverse forme di pensiero dal punto di vista cognitivo ma anche affettivo ed emozionale e, quindi, anche gli orientamenti delle persone al futuro, cioè l’orientamento al tempo, e il tentativo di comprendere quali possono essere le resistenze non solo al cambiamento ma anche al pensiero del cambiamento».

La conseguenza di questo cambiamento di punto di vista è anche filosofica. Cambia l’idea stessa dell’oggetto sul quale si lavora, com’è peraltro naturale che sia.

«In questo modo – dice Goetz – il futuro diventa un concetto difficile da definire. Nel tempo ci sono stati molti ricercatori che hanno cercato di definirlo da più punti di vista ma, a mio avviso, con scarso successo. Per evitare questo tipo di trappola, il mio percorso non è un percorso scientifico e metodologico che cerca di capire cos’è il futuro, non è questo che voglio. Non sono interessato alle differenti definizioni di futuro. Quello che mi interessa è capire come l’immaginazione sia in grado di generare il futuro dal punto di vista progettuale. Quindi, il rapporto tra immaginazione e scelte strategiche, immaginazione e complessità, immaginazione e processi di design di nuove idee che poi, in qualche modo, si trasformano e diventano progettualità».

Multidisciplinarietà per superare le resistenze

Questo è il nodo centrale attorno al quale ruota l’idea di Goetz: pensare il futuro, come si fa. Il suo lavoro comincia da questa idea e costruisce sulla base di quelle che sono le competenze già note per il design del pensiero e altre che invece bisogna creare da zero. Per capire l’importanza di questo passaggio occorre vedere come viene messo a terra il lavoro di futurista tradizionale.

«I futuristi tendono a portare esercizi di futuro in una organizzazione, con l’idea che tutte le persone si rapportano al futuro nello stesso modo. Invece, una cosa per me fondamentale è avere un approccio moderno, che mette assieme metodi più o meno strutturati e tra loro diversi: foresight, game design, arti performative, Speculative Design, riflessioni critiche. La chiave è la multidisciplinarietà perché dall’altra parte la parola che emerge è resistenza».

Le idee astratte, il cambiamento come oggetto sintetico e quindi innaturale, toccano corde molto diverse in persone diverse. E provocano reazioni, soprattutto quando arrivano dall’esterno e risuonano nella mente. Un’idea astratta, sintetica e fredda genera interpretazioni calde e differenti a seconda della persona a cui viene proposta. Siamo macchine per generare interpretazioni su tutti i livelli, non solo nella dimensione analitico-razionale. Nell’astrazione si perde il controllo del messaggio e si generano le resistenze. Ma non è necessario che sia così.

«Noi pensiamo che portare uno scenario astratto alle persone porti delle resistenze. Allora, seguendo la scuola dello Speculative Design cerchiamo di usare, ad esempio, il Design Fiction per creare eventi e narrazioni di futuro nel presente e quindi per farlo diventare vivente nella realtà esistenziale delle persone. Diventa a volte utile non solo indicare le possibilità di futuro ma metterle in scena per le persone e fargliele vivere nel presente, per aiutarle a riflettere su quali sono le conseguenze delle decisioni prese nel presente. Per farlo possiamo usare il metaverso, il role playing, le tecnologie immersive, la performance. Ci sono diverse metodologie per portare scenari di futuro nel presente facendoli vivere direttamente. Il risultato è che in questo modo le persone riescono a rapportarsi meglio alle idee. È quel che molti stanno facendo nell’ambito del design fiction: usano cartelloni, film, rappresentazioni con attori per coinvolgere le persone e migliorare i processi immaginativi legati al futuro».

A questo punto, è tempo di scendere sul piano più concreto delle relazioni dirette con gli oggetti che costituiscono i futuri e i processi immaginativi che li creano.

«Il nostro lavoro – dice Goetz – non è alternativo al foresight. Invece, è integrativo. Non partiamo dal presupposto, ad esempio, che le tecnologie cambino le cose ma invece che siano un fattore abilitante. Dal nostro punto di vista le tecnologie non sono l’elemento centrale. Il nostro focus invece sta nei processi di immaginazione di quel che è. In un mondo che cambia rapidamente possiamo considerare il futuro da qualsiasi prospettiva, sia essa filosofica o tecnologica, ma rimane sempre un mondo diverso dal presente. Questo definisce il discorso legato al futuro inteso come diverso dal presente, nel quale entrano in gioco anche le tecnologie. Cioè, “non come ChatGPT cambierà il mondo del lavoro” ma “come possono usare l’idea delle AI per sviluppare un pensiero immaginativo che mi permetta di costruire un nuovo valore e un mondo migliore rispetto a quello attuale”. Le tecnologie possono essere un elemento che cambia il nostro modo di lavorare e pensare e di operare ma non sono però l’elemento da cui partiamo».

Superare la crisi dell’immaginazione

L’elemento da cui parte la riflessione di Goetz su questo livello è, infatti, lo sviluppo delle competenze immaginative, che devono essere esercitate e portate avanti. Non perché semplicemente servono, ma perché ne abbiamo bisogno.

«Lo dicono tutti: stiamo vivendo una crisi di immaginazione. Sappiamo esattamente cos’è un mondo distopico e quindi che cosa non vogliamo, ma se chiedete com’è fatto un mondo desiderabile molti non sanno definirlo. E molti lo definiscono per differenza: un mondo ideale rispetto a quello che già conoscono e che non vogliono. Quello che entra in gioco è la persona che immagina e la cultura del suo tempo. E un elemento necessario che portiamo avanti nel nostro lavoro all’hub è quello della decolonizzazione dei futuri. Infatti, i futuri che sono stati pensati nel passato, sono in larga parte futuri maschili, con modelli maschili, occidentali, che in qualche modo non hanno tenuto in considerazione la possibilità di allargare il pensiero a culture differenti, a modi di pensare differenti, a generazioni differenti. Questi sono tutti aspetti invece da prendere in considerazione per avviare un dialogo che possa essere inclusivo e che tenga anche in considerazione altri aspetti nel considerare desiderabilità e indesiderabilità del futuro. Una domanda infatti che dobbiamo porci, che è tipica in altri ambiti ma che non vedo comparire negli studi sul futuro, è quella desiderabilità: “A beneficio di chi stiamo progettando il futuro?“».

La riflessione sui limiti del pensiero binario e dei modelli che andrebbero adottati è stata portata avanti da tempo. Non è solo il tema del lungo periodo, che offre spazi di manovra per progettare il cambiamento profondo come, ad esempio, sta facendo l’Unesco sulla future literacy, ma anche il superamento delle categorie del giusto e dello sbagliato, la contrapposizione nero-bianco, in modo da poter arrivare a nuove forme per integrare e gestire le polarità. È la riflessione che fa da lungo tempo, ad esempio, Bob Johansen dell’IFTF, criticando i modelli di ragionamento attuale contrapponendo l’idea di pensiero a spettro totale.

«Prendendo questi spunti – dice Goetz – si può ragionare sui sistemi. Oggi viviamo in un sistema capitalista e un sistema sociale, in futuro potrebbero esserci delle forme di comunalismo, di capitalismo sociale, che non sono state ancora codificate e progettate, ma che potrebbero cercare modelli sociali ed economici differenti rispetto alle categorie esistenti».

La gestione della complessità

La parte finale dell’incontro con Maurizio Goetz tocca un tema che è forse il più difficile da affrontare e di cui le cose dette sopra sono sostanzialmente l’introduzione. Si tratta della gestione della complessità. Il tema dei temi.

«Occorre un allenamento – dice Goetz – a mettere in discussione tutto quel che si sa ed esercitare la flessibilità cognitiva per abbracciare possibilità che possono realizzarsi o no, ma che rendono comunque il pensiero flessibile e adattivo alle situazioni potenziali. Per sviluppare una capacità generativa di pensiero occorre “defamiliarizzarsi” con il presente e con ciò che si sa: solo con il distacco dalle credenze consolidate si sviluppa la capacità di pensare a ipotesi alternative e non soltanto possibili. Lo sottolineo, è una diversità importante: alternative, non solo possibili. È il motivo per cui fondamentalmente i futuristi di solito lavorano molto sulle possibilità. Invece occorre lavorare molto anche su elementi che possono essere plausibili ma assurdi, perché questo vuol dire abbracciare l’incertezza e avere la possibilità di confrontarsi con le discontinuità e le sorprese. Cosa che a sua volta vuol dire abbandonare il controllo. È contrario non solo all’istinto delle persone, ma anche alle regole della consulenza, che è basata sull’idea che il consulente è una persona molto esperta. Invece noi adesso ci troviamo in un mondo diverso, estremamente complesso e cangiante, in cui siamo tutti dei novizi: non diciamo più “la nostra esperienza ci dice che“, invece proviamo a prendere per mano e guidare nell’ignoto le persone con cui lavoriamo».

La complessità del mondo è multidimensionale e multifattoriale. Come l’idea di San Tommaso d’Acquino che qualsiasi descrizione o immagine di Dio è inevitabilmente incompleta sul piano della sola razionalità, così la complessità che genera i futuri è ineffabile.

«Ci sono tante cose che non sappiamo – dice Goetz –, che non capiamo e non possiamo neanche immaginare. È come entrare in un oceano sconfinato che dobbiamo esplorare. Serve quindi tornare alla capacità di esplorare, che vuol dire muoversi senza avere il manuale con le istruzioni e senza avere una guida. Di fronte a questa proposta, all’inizio alcune reazioni sono state tiepide. Soprattutto, una reazione ricorrente è quella che dice no perché “l’immaginazione non serve a noi ma ai creativi, noi siamo persone concrete che hanno bisogno di fatti e di numeri“. Salvo che poi questo punto di vista si scioglie come neve al sole quando arriva il Covid, che ha costretto le persone a cambiare modo di pensare da un giorno all’altro. E dopo è arrivata la guerra in Ucraina che ha letteralmente resettato il modo in cui le imprese ragionano in termini di scelte di delocalizzazione, di approvvigionamento energetico. E poi sono arrivate cose come le grandi dimissioni, con le persone che abbandonano le aziende perché i modelli di leadership non funzionano più. Sono tutti segnali che stanno facendo capire alle aziende che c’è qualcosa che non va nei modelli di pensiero e di gestione. Il passaggio per me è stato passare da un approccio di tipo consulenziale strategico a uno di coaching, cioè non per dire cosa bisogna fare ma per accompagnare le aziende e le persone nella ricerca di una risoluzione dei problemi. Il mio approccio è, concretamente, aiutare le persone a trovare risorse immaginative che permettano loro di ridefinire i problemi secondo nuove prospettive e poter così trovare nuove soluzioni. Non sono io a suggerire interventi possibili, a dire quali sono le cose giuste e quali quelle sbagliate. Oggi qualsiasi decisione venga presa funziona solo in uno specifico contesto e situazione e probabilmente non funzionerebbe in un altro».

Goetz conclude spiegando perché questo cambiamento di punto di vista funziona innanzitutto a partire da sé stesso:

«Il mio approccio è cambiato: da ex docente universitario ho lavorato molto sulla formazione e ultimamente ho rinunciato a farla, con grande sorpresa dei miei interlocutori all’Università. Non faccio più formazione frontale; invece, faccio laboratori di cogenerazione, sia in Università che in azienda, per arrivare a un apprendimento di tipo emergente. Un apprendimento in cui non tutto è stato perfettamente codificato all’inizio. La conoscenza, in questo modo, deriva da processi di interazione tra le persone; sono loro che portano alla generazione di nuove idee e quindi di riflessione critica sull’esistente e sul possibile. È così che immagino il futuro».

Scritto da:

Antonio Dini

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin