Ethnografic Futurism per integrare antropologia e futurismo e anticipare con ottimismo il futuro

Una volta si diceva che le università fossero come dei giganti: hanno la testa tra le nuvole dell’accademia e i piedi ben saldati nel territorio da cui provengono. Questo a ben vedere potrebbe essere anche il modo con il quale entrare in contatto con una parte più antica degli studi sul futuro, legata all’esplorazione iniziata negli anni Sessanta e portata avanti come evoluzione e in parte diaspora dal filone di studi antropologici.

A Houston, la scuola di antropologia e di scienze sociali ha una base solida, che risale al dopoguerra. E c’è mezzo secolo di ricerca e didattica, di riflessione sulla metodologia, che è stata fatta all’interno del Master di Science in Foresight creato negli anni Settanta. È una ricerca basata su tecniche modulari, che può essere integrata con metodi diversi a seconda del tipo di studio particolare: questionari, focus, interviste, scenario workshop. Dipende dagli obiettivi capire qual è il metodo e a quali casi si applica.

«Sono diventata futurista con l’Accademia, durante l’università – dice Alexandra Whittington, durante un collegamento via Whatsapp tra Buenos Aires e Houston, in Texas – perché ho studiato futurism come studentessa. Non è molto comune, soprattutto nella mia generazione. Studiavo antropologia e ho iniziato a occuparmi di futuro quando il mio professore, che faceva parte della World Futurist Society, che oggi non c’è più ma per una sessantina di anni è stata la più ampia organizzazione di futuristi, ha partecipato a una delle conferenze che venivano organizzate ogni estate. Erano conferenze molto ricche, dove partecipavano un sacco di personaggi molto grandi: uno per tutti è Richard Buckminster Fuller. Quando il mio professore è tornato ci ha convocati e ci ha detto: questa è un settore di studi veramente affascinante. Quel semestre ci ha fatto un corso su questo argomento e io mi sono innamorata. Quindici anni dopo mi sono trovata a insegnare quello stesso corso che teneva lui».

Tecnologie emergenti, cambiamenti sociali e tendenze globali. Capire le intersezioni per fare analisi previsionale

Alexandra Whittington, futurista e consulente
Alexandra Whittington, futurista e consulente

Alexandra Whittington si è diplomata con il master in Foresight nel 2003 e ha iniziato a lavorare come futurista facendo consulenze mentre ha continuato il percorso universitario: ha insegnato dal 2010 al 2022 e da poco è passata a fare consulenza per TCS, Tata Consultancy Services. Il suo lavoro è centrato sull’analisi previsionale costruita partendo dalle intersezioni tra tecnologie emergenti, cambiamenti sociali e tendenze globali. Il suo metodo di lavoro è stato costruito attraverso il lavoro accademico all’università di Houston dove ha sviluppato la sua esperienza nella pianificazione degli scenari (scenario planning), nell’analisi delle tendenze (trend e megatrend) e nell’horizon scanning (tutti metodi ed esercizi tipici dei futures studies).

«Futurismo e antropologia sono un ottimo match: l’antropologia studia la specie umana, come sopravvive, quali sono i futuri sviluppi della popolazione. Da questo punto di vista è un matrimonio perfetto con il futurismo: siamo interessati alla specie umana e alla sua sopravvivenza come specie nel lungo periodo. Una sopravvivenza che avviene tramite l’adattamento: nuove tecnologie, nuovi sistemi organizzati, nuove invenzioni, religioni, società. Il modo con il quale ci adattiamo al mondo definisce i nostri futuri possibili».

Ethnografic Futurism per integrare antropologia e futurismo

Ci sono stati antropologi molto importanti che negli Stati Uniti hanno lavorato alla costruzione della ricerca sul futuro: il campo di lavoro è, nell’antropologia culturale, quello della ricerca sull’Ethnografic Futurism. È il modo per integrare il futurismo dentro l’antropologia come ha fatto, ad esempio negli anni Sessanta Robert B. Textor. Un filo tra scienze sociali e studi sul futuro. Insomma, per quanto riguarda l’università, l’àncora alla testa tra le nuvole del futuro è quella offerta dalle metodologie sociali e dell’antropologia culturale, unite alla tradizione di studi della scuola dell’università di Houston.

«Quando ho incontrato il futurismo assieme all’antropologia culturale ho pensato che fosse un match unico. Era la possibilità di studiare la vita e i modi di vita del futuro. Oggi gli studi sul futuro sono diventati un ambito sempre più generoso di idee».

Come futurista, Alexandra Whittington si impegna a promuovere un futuro più equo e sostenibile. Secondo lei la tecnologia può essere una potente forza di cambiamento positivo, ma solo se viene sviluppata e utilizzata con un forte senso di responsabilità sociale. Attraverso il suo lavoro, Whittington mira a «ispirare e mettere in grado individui e organizzazioni di assumere un ruolo attivo nel plasmare il futuro che desiderano vedere».

Aggiunge: «Ritengo che ci siano molti possibili futuri per la società. Uno dei compiti del futurismo è mantenere le persone ottimistiche sull’idea di futuro perché la nostra stessa esistenza dice che vale la pena vedere il futuro. Dobbiamo abbracciare il ruolo di ottimisti e di forza positiva per portare avanti l’idea di un futuro migliore. E oltre a questo non dobbiamo tralasciare il nostro ruolo di educatori: per me, che sono stato professoressa per molti anni, le cose sono cambiate relativamente poco passando al settore privato dove faccio ancora molta educazione al futuro. Cioè, come pensare in modo più profondo al futuro, quali sono i segnali che devono essere letti e altre cose simili. È una forma di infotainment, se vogliamo: intrattiene ma al tempo stesso informa».

Il lavoro di Alexandra Whittington è legato a una metodologia modulare e flessibile che però fa parte di un sistema più ampio di astrazioni e formalizzazioni dei metodi. La conoscenza sistematica del settore è alla base del lavoro scientifico ma anche di ricerca universitaria.

«Il lavoro dei futuristi è sempre basato sullo scanning: questa è una tecnica che viene usata dai futuristi che seguono tecniche diverse, ma rimane alla base. L’horizion scanning – nel mio caso – è per vedere gli indicatori della società che cambia: facciamo la scansione dell’orizzonte digitale, della internet sociale, dei blog e dei video, per cercare delle idee e avere delle suggestioni su quel che succede e poter fare delle previsioni sia dal punto di vista della ricerca che della consulenza che della creatività. Bisogna in buona sostanza trovare dei segnali e dargli un senso per la nostra audience, sia essa fatta da studenti, da clienti, da aziende”.

Alla base del lavoro di Alexandra Whittington c’è anche l’imprinting della università che ha frequentato e dove ha insegnato: «Dopo quasi 50 anni abbiamo una lunga tradizione di ricerca in questo ambito. Abbiamo un approccio modulare in maniera tale da poter adattare e integrare la metodologia di ricerca ai diversi obiettivi».

Chi sono i futuristi e cosa fanno

C’è stato un cambiamento nello studio sul futuro. E quel cambiamento è derivato dalla discontinuità portata dalla pandemia, soprattutto. Tra tutti gli elementi che segnano il nostro tempo presente (guerre locali, crisi economiche, conflitti geopolitici interni e internazionali, neo-protezionismi, blocchi e spezzettamento della catena degli approvvigionamenti mondiali) è stata pandemia l’elemento più importante.

«La pandemia è stata il catalizzatore che ci ha fatto pensare come società e ci ha fatto concentrare di più sul futuro. L’evento inaspettato per la maggior parte delle persone ha aperto gli occhi alla società anche su chi sono i futuristi e cosa possono fare per il bene comune. Di solito noi futuristi siamo più consapevoli di quel che può succedere: siamo gli esperti specializzati e bravi a capire queste cose. Lo shock della pandemia ha portato le persone e le istituzioni a chiedersi: chi è che capace di capire cosa sta succedendo e spiegarcelo? Questo ha alzato moltissimo il nostro profilo e l’importanza di quel che facciamo. Adesso molte più persone hanno capito che possono studiare il futuro. Non per predire, ma semplicemente per anticipare quel che potrebbe succedere con l’obiettivo di essere preparati. Da questo punto di vista la pandemia è stato l’evento che ci ha dato la prospettiva sull’idea di essere preparati per il futuro».

Oggi questo passaggio è sempre più visibile soprattutto nel mondo delle aziende. Dove vengono introdotte posizioni e premiati ambiti di studio che hanno a che fare con il futurismo. In Europa stanno cominciando i primi studi relativi a una figura nuova e a una nuova attività che viene creata nelle aziende: il “corporate foresight”, la previsione aziendale. René Rohrbeck dell’Università di Aarhus in Danimarca e Menes Etingue Kum, dell’Università di Monaco di Baviera, hanno scritto l’unica ricerca recente sull’argomento, sviluppato un modello per determinare il livello di preparazione al futuro di un’azienda.

«Vedo sempre più ricerca di persone esperte di futuro da parte delle aziende: posizioni come foresight director, per fare previsioni, per lavorare in questo ambito. È un segnale che stiamo dando sempre più attenzione a questo tipo di cose. Stiamo aprendo le porte per questo tipo di lavoro. Lo studio “Corporate foresight and its impact on firm performance: A longitudinal analysis” è il primo di questo tipo ed è ottimo perché mette in relazione la previsione con il business, cioè con l’aumento del fatturato a fronte di una serie di attività strategiche. È simile a quello che faccio con TCB dal punto di vista consulenziale. Con una importante osservazione: il “corporate foresight” è una cosa diversa da quella del consulente futurista o dello studioso futurista. È più verticale, ha il suo focus nel settore particolare di quella determinata azienda. Ma i confini tra i settori stanno svanendo, il linguaggio è comune e a tendere si lavora più o meno in maniera sempre molto simile, cambiano solo parti degli ecosistemi».

Non c’è futuro senza diversità e inclusione

Infine, l’inclusività e la diversità. Non sarebbe non solo giusto ma neanche possibile portare avanti una conversazione sul futuro, l’accademia, la consulenza, senza toccare temi come questi.

«Passato, presente e futuro sono parole plurali: sono multipli perché sono tutti su strati diversi. Credo che il lavoro del futurista sia di spingere per quello che crede sia importante. A differenza di un antropologo, che fa uno studio oggettivo dove non viene coinvolto emotivamente, ho scelto questo lavoro perché voglio essere coinvolta, ho un’opinione e so cosa è giusto e cosa è sbagliato. Non voglio fare finta di essere completamente oggettiva. Confermo che sono una persona con un punto di vista e che vedo un futuro in cui ci sarà un’opportunità per tutti, in cui tutti possano sviluppare il proprio potenziale personale, in una società più giusta e ricca, abbondante per tutti».

Alexandra Whittington conclude:

«È utopico ma credo che dobbiamo tenere questa come direzione: avere una visione del futuro e condividerla con le altre persone è importante perché la gente ha bisogno di altre visioni e bisogna essere pronti ad avere delle conversazioni sulle visioni che competono per definire il futuro. Soprattutto oggi che si stanno unendo alla conversazione molte voci: una volta erano voci prevalentemente occidentali, maschili, bianche, spesso americane. Oggi ci sono più donne, più diversità, ci sono movimenti che stanno crescendo moltissimo come l’AfroFuturism o altre voci asiatiche (Filippine, Giappone) dell’Australia e dell’America Latina che sono diventate molto importanti. Stiamo diventando diversi e il futuro diventa sempre più positivo perché abbiamo più prospettiva e più interessi. Noi futuristi siamo diventati una comunità globale che ruota attorno all’idea di capire, cambiare e dare forma al futuro. E questo mi fa sentire positiva e ottimista».

Scritto da:

Antonio Dini

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