Il recente studio di un gruppo di scienziati si è spinto fino a dimostrare come i funghi possiedano proprietà che consentono loro di percepire ed elaborare una serie di stimoli esterni, aprendo così la strada alla futura realizzazione di dispositivi elettronici e materiali da costruzione fungini che, perfettamente ecosostenibili, non inquinano l’ambiente.
TAKEAWAY
- Un recente studio ha dimostrato come i funghi possiedano proprietà che consentono loro di percepire la luce, la temperatura, la presenza di sostanze chimiche e persino stimoli elettrici.
- Con l’obiettivo di testare le capacità di risposta dei funghi come biomateriali, lo studio descrive il loro ruolo di biosensori dalla capacità di discernere tra stimoli chimici, meccanici ed elettrici.
- Il prototipo sviluppato dal team di studio semplificherà la futura progettazione di edifici fatti di biomateriali fungini, promuovendo l’utilizzo di un organismo vivente come materiale da costruzione.
I biomateriali, secondo la definizione stabilita dall’International consensus conference on biomaterials, tenutasi nel 1991 a Chester, in Inghilterra, sono quei “materiali concepiti per interfacciarsi con i sistemi biologici, siano essi tessuti viventi, microrganismi oppure organismi”.
E di biomateriali tratta il recente studio congiunto, dal titolo “Reactive fungal wearable”, presentato sulla rivista Biosystems, che vede protagoniste l’Università di Bristol, la sede di Torino dell’Istituto Italiano di Tecnologia e la Facoltà di Informatica, Multimedia e Telecomunicazioni dell’Universitat Oberta de Catalunya (UOC), a Barcellona.
Studio che ha dimostrato come i funghi possiedano proprietà che consentono loro di percepire e di elaborare una serie di stimoli esterni quali luce, temperatura, presenza di sostanze chimiche e persino segnali elettrici.
Proprietà, queste, che potrebbero aprire la strada alla creazione di materiali e di dispositivi non inquinanti e perfettamente ecocompatibili, oltre a essere durevoli, riparabili e adattabili.
Dai funghi, biomateriali per realizzare sensori e circuiti di calcolo
Nello specifico, il team di ricercatori ha analizzato le proprietà del fungo ostrica Pleurotus ostreatus (una delle specie fungine più coltivate al mondo, in Italia denominata “orecchione” o “fungo ostrica”) nel percepire stimoli ambientali.
Con l’obiettivo di testare le capacità di risposta dei funghi come biomateriali, lo studio descrive il loro ruolo di biosensori dalla capacità di discernere tra stimoli chimici, meccanici ed elettrici.
Spiega Mohammad Mahdi Dehshibi, ricercatore presso lo Scene Understanding and Artificial Intelligence Lab (SUNAI) dell’Universitat Oberta de Catalunya e membro del team:
“I funghi costituiscono il gruppo di organismi viventi più grande, più diffuso e più antico del pianeta. Crescono rapidamente e si legano al substrato con cui vengono a contatto. Sono persino in grado di elaborare le informazioni in un modo che assomiglia ai computer. Possiamo riprogrammare la geometria dei grafici delle reti di micelio e, quindi, utilizzare l’attività elettrica dei funghi per realizzare circuiti di calcolo“
Ma andiamo per ordine e cerchiamo di comprendere i concetti chiave. Il micelio è l’apparato vegetativo dei funghi, formato da un intreccio di filamenti in cui scorre la loro linfa vitale.
Le “reti di micelio”, invece, sono quelle reti ecologiche sotterranee costituite dall’interazione tra gli apparati di radici delle piante e i miceli fungini, che alcuni biologi hanno paragonato alla rete mondiale tra computer.
Addirittura, la canadese Suzanne Simard, ecologa e studiosa di reti simbiotiche forestali, ha definito le reti fungine che vivono nel suolo in simbiosi con le radici – trasferendo informazioni, acqua e nutrienti tra le piante – la “Wood Wide Web”.
La rete dei funghi che unisce tra loro gli alberi costituisce una “infrastruttura tecnica di comunicazione” e di trasferimento delle risorse naturali tra le diverse piante. E aggiunge il professor Dehshibi:
“I funghi non solo rispondono agli stimoli e attivano i segnali di conseguenza, ma consentono a noi di manipolarli per elaborare informazioni”
Le strategie dello studio dei biomateriali prevedono la crescita dell’organismo utilizzando piccoli moduli come mattoni, blocchi o fogli, che vengono poi fatti essiccare, uccidendo l’organismo e ricavando un composto inodore.
Ma può essere fatto un ulteriore passo avanti, continua Mohammad Mahdi Dehshibi. I miceli, infatti, potrebbero essere mantenuti in vita e integrati in nanoparticelle e polimeri per sviluppare biomateriali adatti alla costruzione di componenti elettronici: “il substrato ottenuto verrebbe coltivato in uno stampo per dargli forma e struttura. Nell’ultimo decennio, il professor Andrew Adamatzky dell’Unconventional Computing Laboratory dell’Università di Bristol e membro del gruppo di studio, ha prodotto diversi prototipi di dispositivi di calcolo utilizzando lo stampo melmoso ricavato da un particolare tipo di fungo, detto Physarum polycephalum”.
Materiali fungini da costruzione: sarà possibile farla finita con cemento, vetro e legno?
Sebbene, però, il professor Adamatzky abbia scoperto che lo stampo melmoso ricavato rappresenti un valido substrato per il calcolo non convenzionale – sottolinea Dehshibi – il fatto che questo sia in continua evoluzione impedisce la produzione di dispositivi di lunga durata. Dunque, i dispositivi di calcolo ricavati dalla muffa melmosa del Physarum polycephalussono, al momento, sono limitati alle configurazioni sperimentali di laboratorio.
Per quanto riguarda questo versante della ricerca, quindi, resta ancora da affrontare una sfida importante, ovvero definire il reale potenziale di calcolo dei biomateriali costituiti dalle reti di micelio. In altre parole, anche se la scienza è giunta a comprendere che esiste un potenziale per questo tipo di applicazione, bisogna ancora capire fino a che punto si spinge tale potenziale e come è possibile sfruttarlo per scopi pratici.
Tuttavia, per gli autori della ricerca, lo scopo dei computer fungini non è quello di sostituire i chip di silicio. Le reazioni fungine sono troppo lente per questo. Piuttosto, pensano sia possibile usare il micelio che cresce nell’ecosistema come sensore ambientale su larga scala.
In particolare, il prototipo iniziale sviluppato dal team di ricercatori aiuterà a semplificare la futura progettazione e costruzione di edifici fatti con biomateriali fungini.
Si tratterebbe di un approccio completamente innovativo, “che promuove l’utilizzo di un organismo vivente come materiale da costruzione.Organismo che è anche modellato per il calcolo”.
Il prototipo fa parte del progetto FUNGAR, finanziato dall’UE, che mira a sviluppare un substrato strutturale utilizzando micelio fungino vivo infuso con nanoparticelle e polimeri, in grado, appunto, di creare edifici che cresceranno, costruiranno e si ripareranno da soli, adattandosi all’ambiente.
La conclusione del progetto è prevista per dicembre del 2022. Data che coinciderà con l’avvio della costruzione di un edificio fatto di biomateriali fungini su larga scala in Danimarca e in Italia, oltre a una versione ridotta nel Frenchay Campus dell’Università di Bristol. Conclude lo scienziato:
“Poter vivere all’interno di un fungo, dentro qualcosa di vivente, segnerebbe un cambiamento ecologico epocale, che ci permetterebbe di farla finita con cemento, vetro e legno. Immaginate scuole, uffici e ospedali che crescono, si rigenerano e muoiono continuamente: è l’apice della vita sostenibile”