I tempi che stiamo vivendo ci vedono puntualmente protagonisti, anche inconsapevolmente, di cambiamenti radicali, che stanno scardinando quelle che fino a pochi anni fa apparivano quali certezze granitiche. I processi di design e, più in generale, le decisioni da prendere nei vari ambiti di business, proiettano contesti di futuro dai contorni sempre più sfumati e indefiniti, in cui qualsiasi possibile previsione rischia di rivelarsi sempre meno affidabile, data la fragilità degli scenari su cui dovrebbero fondarsi delle certezze che di fatto non sono più tali.

Intervengono quelli che nella letteratura dei futuri vengono definiti i contesti VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), dove prendere decisioni certe diventa sempre più complesso. La natura del cambiamento diventa sempre più rapida e instabile (Volatility), al punto da non rendere prevedibili gli effetti delle trasformazioni in atto (Uncertainty). Le cause stesse del cambiamento manifestano implicazioni di una grande quantità di sistemi interconessi e articolati da simulare (Complexity), offrendo valutazioni differenti sulla base della grande varietà di interpretazioni possibili (Ambiguity). Ma come è possibile destreggiarsi con successo all’interno di un mondo VUCA?

Per certi versi, tutto ciò potrebbe apparire paradossale, ma si rivela tale soltanto se non ci sforziamo ad uscire dagli schemi abituali. Nell’era della trasformazione digitale, in cui è possibile acquisire e analizzare i dati in maniera sempre più accurata ed efficiente, fare previsioni sul breve periodo diventa più semplice, ma al tempo stesso si fanno via via più complesse le dinamiche sul medio e sul lungo periodo, quanto più ci si allontana dal tempo in cui siamo in grado di acquisire e archiviare uno storico di dati affidabili ed oggettivi nella loro descrizione.

La pandemia Covid-19 ha offerto la dimostrazione più pratica e brutale di come tutte le previsioni siano state stravolte da un evento imprevisto ed imprevedibile. Eppure, un’eventualità pandemica non costituiva assolutamente un episodio inedito. Se ne sono verificate molte nel corso della storia. La stessa narrazione sci-fi, che si interroga costantemente sugli scenari dei futuri alternativi per raccontarci delle storie di fantasia, le aveva più volte prospettate. Cosa non ha funzionato? Perché un evento di tale portata è stato del tutto sottovalutato nelle azioni previsionali?

Quando un’azienda o una pubblica istituzione si ritrova a dover effettuare una scelta deve valutare sempre più spesso le conseguenze sia sulle dinamiche di breve che di lungo periodo, operando dal punto di vista umano-centrico, per valutare gli impatti sul sistema socioeconomico, da cui deriva la definizione della domanda da soddisfare.

I designer e i decisori devono prendere in considerazione sempre più spesso le dinamiche di lungo periodo, cercando di anticipare il cambiamento, mettendo il loro operato al riparo da approcci di natura predeterministica. L’obiettivo non è quello di prevedere un futuro sempre più imprevedibile, ma valutare cercare di identificare gli scenari dei futuri possibili, a prescindere dal fatto che possano verificarsi o meno, almeno in un primo momento.

La tendenza a giocare in anticipo rispetto al cambiamento spiega perché gli strumenti pratici di discipline visionarie come il design thinking e il futures thinking stanno entrando in maniera sempre più decisa nella cassetta degli attrezzi dell’innovazione aziendale. Cerchiamo di capire insieme in cosa differiscono, per comprendere quando sia opportuno utilizzarli e quali potrebbero essere, a livello di business, i criteri di adozione più comuni in funzione della loro sinergia.

Futures thinking vs Design thinking

La risposta più scontata a questa domanda potrebbe essere un’altra domanda: perché dover scegliere? Design thinking e futures thinking costituiscono infatti due discipline con obiettivi per certi versi agli antipodi, tanto diverse da risultare perfettamente complementari. Se il design thinking nasce per garantire una soluzione creativa (creative problem solving) a questioni umano-centriche, talvolta note e coincidenti con gli obiettivi di business, il futures thinking ne ribalta spesso la prospettiva, dissimulando qualsiasi certezza per andare alla ricerca dei possibili problemi che potranno generarsi in futuro (creative problem finding), attraverso la sua esplorazione.

Design thinking

Il design thinking rappresenta un approccio umano-centrico all’innovazione, basato sugli strumenti impiegati dai designer, a cui integra i bisogni delle persone, le possibilità tecnologiche e le esigenze aziendali da soddisfare per garantire il successo degli obiettivi di business.

Rispetto al tradizionale problem solving, il design thinking fa propri i presupposti dello human-centered design, che si basa sull’innato spirito di osservazione delle caratteristiche e delle esigenze del cliente, per intercettare la domanda a cui dare una soluzione.

Al percorso lineare del design classicamente inteso, il design thinking preferisce una metodologia basata su cinque step ricorsivi: empatizzare, definire, ideare, prototipare e testare, che si focalizzano nel comprendere e risolvere tutti gli aspetti contestuali e culturali che rientrano nella geografia di un potenziale problema. La prospettiva umano-centrica che guida il design thinking ha consentito di democratizzare la sua progettualità, che oggi viene messa a disposizione di qualsiasi esigenza aziendale, non per forza finalizzata alla realizzazione di un prodotto o di un servizio.

Le 5 fasi del processo di Design Thinking [fonte: Stanford d.school]
Le 5 fasi del processo di Design Thinking [fonte: Stanford d.school]

Il design thinking oggi equivale sempre più ad una pratica di creative problem solving generalizzabile alle esigenze più disparate, avendo ormai da tempo superato lo scenario applicativo del design di prodotto a cui continua in ogni caso ad ispirarsi, pur avendo sviluppato una solida autonomia critica e operativa.

Rispetto al problem solving tradizionale, tipicamente demandato all’azione dei progettisti specializzati nei loro rispettivi ambiti, il design thinking coinvolge tutti gli stakeholder, valorizzando il loro contribuito attraverso l’applicazione delle loro competenze multidisciplinari. Il design supera quindi la sua dimensione tecnologica e specialistica, demandando tali aspetti al ruolo di strumento funzionale al soddisfacimento delle esigenze degli utenti finali.

Questo ribaltamento di prospettiva ha quindi portato il design thinking ad essere impiegato in ambiti dove il design in passato ben difficilmente veniva considerato. Le strategie e le tecniche del design thinking oggi trovano luogo in qualsiasi contesto e dimensione aziendale, risultando funzionali alle grandi realtà enterprise, così come alle PMI. L’obiettivo pratico consiste nel creare delle unità di lavoro cross-funzionali, in grado di comprendere al meglio il contesto in cui si formula la domanda per garantire la risposta più efficace in funzione dei bisogni degli utenti e degli obiettivi di business.

Futures thinking

Nonostante dispongano del medesimo suffisso, design thinking e futures thinking potrebbero avere ben poco a che spartire se ci limitassimo ad analizzarle in maniera singolare. Il futures thinking non ha all’origine alcuna pertinenza con gli studi di design. È infatti una disciplina che deriva dai tradizionali studi di futuri (future studies) e consente di immaginare ed esplorare futuri alternativi facendo uso di approcci, metodi e tecniche concreti e strutturati, ai fini di generare valore per le aziende e le istituzioni pubbliche che decidono di investire nell’applicazione delle sue metodologie.

Il futures thinking si basa sulle tecniche del foresight strategico per rispondere alla domanda: “cosa potrebbe succedere?”, in luogo del “cosa succederà?” che rappresenta invece il tradizionale ambito di indagine degli studi previsionali, basati sulle tecniche del forecast.

Il futures thinking si propone di aiutare le aziende e le pubbliche istituzioni a immaginare e strutturare gli scenari possibili nel medio e nel lungo termine, quantificabili dai 10 ai 50 anni, con l’obiettivo pratico di prendere decisioni più consapevoli nel presente.

Quale approccio scegliere?

Le definizioni che abbiamo offerto consentono di orientare in maniera pressoché automatica una possibile decisione, qualora ci si ritrovasse al cospetto di scegliere una metodologia funzionale al raggiungimento di un determinato obiettivo di business.

Le dinamiche nel breve termine, focalizzate sulla soluzione creativa ad un problema in buona parte già delineato, rendono auspicabile l’adozione del design thinking. Le situazioni in cui si rende necessario anticipare un cambiamento per individuare nuovi scenari di business, con una previsione di lungo termine, lasciano presagire come il futures thinking costituisca non soltanto l’alternativa più logica, ma una disciplina concepita appositamente per soddisfare tale scopo. Fin qui nulla di strano.

Questa visione può attualmente soddisfare la maggior parte delle situazioni, ma ad onor del vero siamo i primi a ritenerla troppo categorica e semplicistica, qualora intendessimo rappresentare l’effettiva varietà degli scenari di business che si profilano in questo particolare periodo storico. Le sfide del design umano-centrico, a cui il design thinking si riferisce, sono sempre più complesse e mutevoli nel tempo, al punto che diventa difficile riferirle esclusivamente all’attualità.

Per un designer, limitarsi all’analisi della domanda per ciò che rappresenta oggi rischia di dare luogo a soluzioni già obsolete nel momento in cui vengono rese disponibili agli utenti finali. Il design implica sempre più spesso l’esigenza di pensare più a lungo termine rispetto a quanto si sia fatto finora, in quanto il mondo stesso in cui ci si colloca sta diventando sempre più VUCA.

Adottando nei propri step alcune tecniche del futures thinking, il design thinking può arricchirsi di una risorsa essenziale per prendere decisioni più consapevoli nel presente e resilienti nel futuro, a partire dalla capacità di adattarsi in maniera efficace all’insorgere degli scenari alternativi precedentemente esplorati.

Design thinking e futures thinking: l’unione fa la forza nell’inseguire il futuro che vogliamo realizzare

Le aziende hanno sempre più spesso l’esigenza di rendere la praticità del design thinking a prova di lungo impatto, al punto che diventa sempre più comune l’adozione simultanea di esercizi tipici del futures thinking. La logica su cui si basa questa sinergia è piuttosto semplice, in quanto eredita direttamente lo specifico di entrambe le discipline.

Attraverso le tecniche e i metodi del futures thinking è infatti possibile identificare i problemi con un approccio più aperto ed innovativo, svincolato dalla contestualizzazione storica del passato e del presente. Il fatto di porre l’orizzonte temporale a dieci anni rispetto al momento in cui si esplorano i futuri alternativi, crea una condizione di sufficiente distacco dagli schemi consolidati, per consentire valutazioni che non devono essere necessariamente fattibili nel presente.

Per spiegare in maniera semplice ed intuitiva questo concetto, il futurista australiano Joseph Voros ricorre spesso ad una situazione tra le più iconiche nella storia dell’uomo: lo sbarco sulla Luna. Nel 1961, quando il presidente John Fritzgerald Kennedy decise che gli Stati Uniti d’America avrebbero intrapreso questa sfida, non c’erano ancora le tecnologie per farlo. Si trattava di una visione di futuro non concretizzabile nel momento in cui è stata operata consapevolmente questa decisione.

In primo luogo, si trattava proprio di definire un obiettivo di grande portata, da raggiungere mediante una serie di grandi investimenti e sacrifici. Tale visione non ha mancato di provocare un sentimento di forte opposizione di quella parte dell’opinione pubblica che, fallimento dopo fallimento, vedeva in tale iniziativa un enorme spreco di risorse a fronte di azioni ritenute più utili per la collettività, in anni tutt’altro che semplici per la storia americana.

Il 20 luglio 1969, soltanto otto anni più tardi, a bordo del celebre Apollo 11, Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins completarono il celebre sbarco sulla Luna e buona parte dello scetticismo iniziale svanì. Era stato appena raggiunto un obiettivo epocale per la storia dell’umanità, che ha segnato una pietra miliare verso l’esplorazione e la conoscenza dell’immenso universo che ci circonda.

Le grandi conquiste dell’innovazione richiedono in primo luogo il superamento degli abituali schemi di ragionamento, ed in questo frangente una disciplina come il futures thinking può offrire un contributo molto importante.

Nel contesto aziendale, saper anticipare il cambiamento, individuando un mercato che oggi non c’è ma domani potrebbe esserci, costituisce un’opportunità di business straordinaria. È pertanto evidente come il futures thinking rappresenti un approccio capace di integrarsi end-to-end con il design thinking, offrendo un solido contributo in tutte le fasi che ne contraddistinguono l’operatività nei confronti dell’innovazione.

Oltre il design thinking e il futures thinking: un mind-set nativamente orientato all’innovazione

Molto spesso quando si tratta di prendere decisioni in un contesto aziendale si propongono scenari di breve e lungo termine, a cui è possibile offrire soluzioni pratiche attraverso l’impiego combinato di tecniche e metodi di design thinking e futures thinking.

Gli strumenti pratici del design consentono di concretizzare facilmente le visioni astratte dei futuri possibili, attraverso simulazioni e realizzazioni di prototipi dal funzionamento tangibile a tutti gli stakeholder. La fusione delle tecniche del design e del foresight consente infatti di rendere operativo un mind-set orientato alla valutazione di tutte le possibili alternative, con un approccio decisamente più innovativo nei confronti della varietà di problemi che potrebbe prospettarsi in futuro.

Al tempo stesso, la fusione tra i due metodi consente di dare luogo ad una visione dinamica, che vede le persone, i prodotti, i servizi e le organizzazioni coinvolte nel cambiamento quale parte integrante di un sistema in costante evoluzione: un sistema interconnesso, in cui ogni elemento influenza continuamente tutti gli altri. Tale visione consente di comprendere al meglio gli effetti del cambiamento e le sue ricadute sugli aspetti sociali, tecnologici, politici ed economici del contesto a cui ci si riferisce in chiave futura. Una visione, che richiede l’utilizzo del cosiddetto pensiero non lineare.

Utilizzare principi di futures thinking nel contesto di metodologie orientate al design consente di ottenere un evidente valore aggiunto, attraverso vari modi di osservare e tendere verso l’innovazione.

In primo luogo, l’utilizzo degli scenari di futuri agevola la comunicazione tra tutti gli stakeholder, che possono comprendere al meglio le dinamiche del cambiamento, senza essere necessariamente dei tecnici o degli specialisti della disciplina. Una comunicazione più efficace facilita la collaborazione interna all’azienda e le relazioni con i clienti, con cui si genera un maggior livello di coinvolgimento nel customer journey.

Un altro aspetto di valore dato dalla simulazione del cambiamento è la previsione del comportamento che gli utenti finali potranno assumere nei confronti delle nostre soluzioni, ai fini di prevedere gli impatti sulla domanda di mercato.

Tale aspetto si ricollega ad un vantaggio strategico determinante, che consiste nell’effettuare scelte resilienti in funzione di tutte le possibili variazioni di scenario che potrebbero intervenire nel breve, nel medio e soprattutto nel lungo termine, quando il maggior differimento aumenta contestualmente la possibilità che si verifichino eventi difficili da prevedere in relazione al contesto attuale.

Scritto da:

Nicoletta Boldrini

Futures & Foresight Director | Direttrice Responsabile Tech4Future Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin