La NASA, con l’intenzione di dare nuovo impulso alle attività di estrazione di minerali dalla superficie lunare per mezzo di robot, stanzia 500.000 dollari a favore dell’Università dell'Arizona per un progetto volto a mettere a punto nuovi metodi per la raccolta delle risorse lunari, utilizzando, in particolare, sciami di robot autonomi e nuove tecniche di scavo.

TAKEAWAY

  • Dopo la sospensione delle missioni spaziali dovuta all’emergenza pandemica, si torna a parlare di robotica per l’estrazione mineraria sulla Luna, con riferimento alla NASA e alla sua intenzione di incentivare le attività di prelievi di minerali dalla superficie lunare per mezzo di robot.
  • È, in particolare, la regolite il minerale al quale è interessata la NASA, dal quale è possibile estrarre acqua e ossigeno e ottenere materiali dalle diverse proprietà (tra cui il calcestruzzo) nel contesto stesso dello spazio.
  • È l’Università dell’Arizona, incaricata dall’Ente spaziale statunitense, a lavorare al progetto volto a costruire robot per attività minerarie e di scavo e ad addestrarli a lavorare insieme in modo autonomo.

Dopo la sospensione delle missioni spaziali dovuta all’emergenza pandemica, si torna a parlare di robotica per l’estrazione mineraria sulla Luna. E si torna a farlo con riferimento all’Ente spaziale statunitense NASA e alla sua intenzione di incentivare le attività di prelievi di minerali dalla superficie lunare per mezzo di robot in grado di lavorare autonomamente.

La superficie della Luna presenta rocce con alte concentrazioni di anortite, minerale silicato di calcio e alluminio, mentre le sue pianure basaltiche presentano alte concentrazioni di ferro associato a una forte quantità di titanio. Vi si trovano anche metalli preziosi come oro e platino, oltre ell’Elio-3, isotopo di elio estremamente raro sulla Terra, che potrebbe fare compiere un importante passo in avanti nella fusione nucleare.

Ma è soprattutto la regolite, in questa fase, il minerale al quale è interessata la NASA. Si tratta della parte più esterna del suolo lunare – caratterizzata dall’insieme di sedimenti, polvere e rocce – dal quale è possibile estrarre acqua e ossigeno, essenziali per la presenza dell’essere umano sulla Luna, nonché ottenere materiali dalle diverse proprietà (tra cui il calcestruzzo) nel contesto stesso dello spazio. Il che permetterebbe l’eventuale costruzione di piccoli fabbricati in loco, senza la necessità di trasportare materiale dalla Terra.

Robot che lavorano nello spazio a contatto con gli esseri umani

Già nel 2010 la Nasa progettava la prima uscita nello spazio di Robonaut2robot umanoide progettato per lavorare manualmente e a stretto contatto con gli esseri umani, sia sulla terra – alle catene di montaggio – che nello spazio, durante le attività all’esterno delle stazioni spaziali.

Dotato di sensori e visori, era in grado di utilizzare gli stessi strumenti manuali che usano gli astronauti in missione e di sollevare e tenere in mano quasi 10 kg di peso.

E sono del 2015 le prime simulazioni virtuali di sciami di piccoli robot – realizzate dal gruppo di ricerca dell’Università belga di Lovanio – capaci di organizzarsi in modo autonomo, mostrando comportamenti collettivi atti ad assegnare compiti e, allo stesso tempo, a eseguirli e a suddividere in lavoro in sotto-attività.

L’esperimento mirava a sciami di robot completamente autonomi e svincolati dal controllo da parte dell’uomo, da utilizzare – si legge nello studio reso pubblico l’anno successivo sulla rivista PLoS Computational Biology – nell’ambito della robotica per l’estrazione mineraria su altri pianeti.

Nella simulazione, i ricercatori hanno preso come modello l’organizzazione degli insetti sociali quali formiche, api e termiti. In particolare, il team belga si è ispirato alle formiche Atta, le quali, grazie a una ferrea organizzazione del lavoro, si specializzano chi nel fare cadere le foglie, chi nel raccoglierle e portarle nel nido, chi – ancora – nello svolgere entrambi i compiti da sole.

Da allora, di strada l’ingegneria robotica ne ha fatta ma, in materia di missioni spaziali, restano aperte ancora alcune questioni – come ha di recente rimarcato Giancarlo Visentin, capo della sezione Automazione e Robotica dell’European Spatial Agency (ESA) – tra cui le difficoltà correlate alla gravità zero, in cui anche i movimenti più banali dei robot comportano conseguenze importanti, e le radiazioni, causa di gravi danni alle componenti elettroniche della macchina non protette.

Robotica per l’estrazione mineraria sulla Luna: il progetto dell’Università dell’Arizona

La NASA, come anticipato in apertura, intende dare nuovo impulso alle attività di estrazione di minerali dalla superficie lunare per mezzo di robot. E, perseguendo tale obiettivo, ha stanziato 500.000 dollari a favore dell’Università dell’Arizona per un progetto volto a mettere a punto nuovi metodi per la raccolta delle risorse lunari – utilizzando, in particolare, sciami di robot autonomi – e nuove tecniche di scavo.

Il team che vi sta lavorando è composto da ingegneri robotici, ingegneri aerospaziali e ricercatori del Dipartimento di ingegneria mineraria e geologica, il cui direttore, Moe Momayez, è noto per avere sviluppato un processo elettrochimico atto a perforare (sulla Terra) la roccia cinque volte più velocemente di qualsiasi altro metodo.

Ma l’estrazione lunare, commenta lo stesso professore, presenta una nuova sfida: l’impossibilità di ricorrere a qualsiasi forma di energia per frantumare le rocce. E questo è un primo problema che il gruppo di studio in tema di robotica per l’estrazione mineraria deve affrontare.

Un secondo problema è dato dall’insegnare agli sciami di robot a lavorare insieme su attività minerarie, di scavo e persino di costruzione (senza bisogno, una volta nello spazio, di ricevere istruzioni dalla Terra), consentendo loro di apprendere e migliorare nel tempo le loro capacità di collaborazione.

Di questi aspetti si sta occupando Jekan Thanga, professore di ingegneria aerospaziale e meccanica presso l’Ateneo dell’Arizona, il quale sta lavorando a una tecnica di architettura di apprendimento neuromorfico denominata Human and Explainable Autonomous Robotic System (HEART).

Ricordiamo che il computing neuromorfico è il risultato di anni di un lavoro ingegneristico che punta alla creazione di chip che abbiano le capacità e la rapidità proprie del cervello umano e che siano in grado di risolvere problemi complessi. Il fine è poter contare su macchine che siano in grado di processare un’enorme quantità di dati per imparare, adattarsi e pensare proprio come il cervello biologico ed eseguire operazioni senza l’intervento umano (è il caso dei veicoli a guida autonoma, dei robot concepiti quali assistenti personali e dei droni).

Il sistema HEART addestrerà i robot qui sulla Terra, nella miniera di San Xavier, nei pressi dell’Università. Le tempistiche dell’addestramento non sono, al momento, conosciute, in quanto il progetto in materia di robotica per l’estrazione mineraria è in piena fase di evoluzione e la stessa tecnica di architettura di apprendimento neuromorfico è tuttora in fase di sviluppo.

Ciò che è chiaro, a questo punto del progetto, è il compito degli sciami di robot autonomi (di cui, al momento, sono pronti i prototipi), ovvero sollevare gli astronauti dai lavori e dalle operazioni più ardui e pericolosi, per concentrarsi sugli aspetti cruciali della missione sulla Luna.

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