Aspettativa e realtà sono due lati della stessa medaglia: la corsa all’innovazione. Il mercato delle tecnologie emergenti è da sempre sospeso tra la suggestione della promessa e il realismo della maturità, i principali fattori di cui gli investitori devono tenere conto nelle valutazioni di business.

TAKEAWAY

  • L’Hype Cycle di Gartner offre uno scenario semplificato per osservare il rapporto tra aspettativa e maturità di una tecnologia emergente, ai fini di comprendere i concetti del business dell’innovazione digitale.
  • Elon Musk è l’indiscusso maestro nel generare aspettativa nei confronti delle tecnologie emergenti: da Paypal a Tesla Bot una incredibile storia di promesse, mantenute e non, che hanno fatto la storia della tecnologia.
  • Facebook Horizon Workrooms prova ad alzare l’asticella del lavoro ibrido. Per Zuckerberg la VR e il metaverso rappresentano il post web, il social del futuro, la dimensione distopica dove tutti saremo destinati a trascorrere il nostro tempo.

Grandi proclami, eventi planetari in grado di attirare l’attenzione di miliardi di persone. Sin dai tempi delle prime grandi esposizioni universali la tecnologia ha saputo dare spettacolo, ispirare meraviglia e generare un senso di grande aspettativa nei confronti di quegli artifici in grado di cambiare il futuro. La storia della tecnologia è segnata da innovazione e hype cycle, da un continuo rimbalzare di aspettativa e realtà, due lati della stessa medaglia, incapaci di vivere uno senza l’altro, a dispetto di quell’apparente antitesi che sta rinnovando un dibattito sempre più attuale in merito alle attuali tecnologie emergenti.

Innovazione e hype cycle: l’Hype Cycle for Emerging Technologies di Gartner

Per individuare e comprendere i principali trend legati all’innovazione, Gartner ha messo a punto una particolare metodologia, la cui fortuna critica è andata probabilmente oltre le aspettative degli autori stessi: l’Hype Cycle delle tecnologie emergenti, che si esprime lungo una curva che si snoda lungo cinque andamenti successivi:

  • Technology Trigger: il potenziale espresso da un semplice PoC (Proof of Concept) viene amplificato dai media, generando un elevato livello di aspettativa nei confronti di una tecnologia nella sua fase emergente. La curva è estremamente ripida, confermando la straordinaria velocità con cui si genera l’hype
  • Peak of Inflated Expectations: L’hype raggiunge il suo culmine, ma al tempo stesso ci si rende conto che il potenziale prospettato non è ancora pronto per dare le risposte che il mercato si attende concretamente
  • Trough of Disillusionment: la popolarità di una tecnologia emergente crolla e resiste di fatto soltanto chi ha investito seriamente fin dall’inizio. Tali aziende continuano nel loro lento ma graduale percorso di sviluppo tecnologico, attirando nuovi investimenti
  • Slope of Enlightment: le cose iniziano a farsi più chiare e la rinnovata fiducia degli investitori contribuisce ad avviare progetti più maturi, che non sono finalizzati ad ottenere visibilità, quanto a penetrare nei processi dell’industria. Tale crescita non è vertiginosa come il trigger iniziale, ma lenta, costante e soprattutto concreta nelle sue implementazioni
  • Plateau of Productivity: la tecnologia esce del tutto dalla fase di aspettativa e si rivela finalmente matura per entrare in produzione, pronta per irrompere sul mercato.
innovazione e hype cycle Gartner
La curva delle cinque fasi del Gartner Hype Cycle
(Licenza CC – https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Gartner_Hype_Cycle.svg – Autore: Jeremy Kemp).

L’Hype Cycle non presenta pretese di carattere scientifico, è piuttosto un’analisi dei trend, per certi versi nemmeno troppo ciclica, piuttosto utile ad orientare gli investitori a scegliere il momento migliore per puntare su una determinata tecnologia, ma soprattutto a conoscerla. Gli obiettivi dichiarati da Gartner sono infatti i seguenti:

  • distinguere l’hype dagli effettivi driver che consentono a una tecnologia di affermarsi sul mercato
  • ridurre i rischi relativi all’investimento sulle tecnologie emergenti
  • mettere a confronto l’aspettativa dell’investitore con il realismo degli esperti IT

In tema di innovazione e hype cycle, l’aspettativa è un meccanismo che attrae capitali e consente al mercato legato ad una tecnologia emergente di crescere nella fase di sviluppo, quando ancora non ha dimostrato nulla di concreto a livello commerciale.

Il potenziale dimostrato nelle demo, oltre all’innovazione contenuta nelle IP e nei brevetti, offrono l’idea di qualcosa in grado di garantire elevati ritorni in tempi relativamente brevi. In molti casi ciò equivale al vero, ma i rischi di investimento sono sempre alti, considerando che il mercato dell’innovazione è in gran parte fondato sulle start-up, affascinanti promesse, prive di quel riscontro di business che soltanto la presenza continuativa sul mercato è in grado di garantire.

Per condurre questo genere di valutazioni esistono anche molti altri strumenti, come il TRL (Technology Readiness Level) che, attraverso nove livelli, esprime un livello di maturità tecnologica che spazia dal pre-concept fino all’adozione commerciale, lungo una linea di continuità che vede l’aspettativa lasciare progressivamente spazio alla readiness.

Per avere una percezione di questi aspetti, possiamo citare due episodi recenti, che hanno visto interessate tecnologie emergenti come la robotica, l’intelligenza artificiale e la realtà virtuale.

Innovazione e hype cycle: l’esempio di Tesla Bot, l’automa umanoide atteso entro il 2022

Nell’era dei social network, pochi sanno influenzare le masse come Elon Musk. Non si pone nemmeno il problema di capire con cosa debba influenzare. Lo fa. Qualsiasi cosa dica viene automaticamente amplificata sui media di tutto il globo.

Il segreto è nella credibilità, oltre che nel saper ispirare una visione di futuro. Dopo aver rivoluzionato i pagamenti digitali con Paypal, commercializzato le auto elettriche con guida autonoma di Tesla, aver promesso viaggi nello spazio con Space-X e i sistemi cyberpunk di Neuralink, Elon Musk è l’hype fatto persona.

Quando Elon Musk presenta qualcosa, interrogarsi su quanto sia pronta la tecnologia in questione diventa quasi irrilevante. Sai già che attorno ad essa si genererà un business enorme. Vende modelli iper-speculativi, mediaticamente attenti a non deragliare dai binari del politicamente corretto, dell’etico e del socialmente responsabile, anche quando di ecologicamente sostenibile c’è ben poco, come nel caso della produzione delle batterie che alimentano le sue vetture.

L’esempio lampante di questa straordinaria macchina da soldi è dato dalla sua ultima diavoleria: il Tesla Bot, l’automa umanoide atteso al primo prototipo entro il 2022. “Costruito dagli umani, per gli umani”, “Amichevole”, “Elimina i compiti pericolosi, noiosi e ripetitivi”. Efficiente, ma dotato di dimensioni in grado di non incutere timore all’uomo, di non sopraffarlo fisicamente anche qualora la sua AI dovesse dare qualche colpo di testa. Amichevole!

Tutto il contrario dei robot cattivi visti tante volte nei film di fantascienza, il Tesla Bot dovrà aiutare l’uomo, non pensare minimamente a sostituirlo. Tutti noi vorremo averne uno e sarà certamente il nostro miglior amico.

A livello concettuale, diciamocelo francamente, il Tesla Bot non introduce particolari elementi di novità. Il prototipo di automa in grado di fare il lavoro sporco dell’uomo è noto sin dai tempi di Aristotele, che probabilmente in futuro verrà ricordato come una sorta di Elon Musk ante litteram.

Sotto la patina di una comunicazione perfetta, il robot amico di Musk si pone in continuità con lo storytelling tecnologico che ha fatto di Tesla una delle aziende più capitalizzate al mondo. Se poi dovesse rivelarsi una mezza cantonata come il Solar Roof, poco importa, andrà meglio la volta successiva.

Intanto gli investitori avranno adeguatamente foraggiato la nuova iniziativa imprenditoriale. E cercheremo di capire che fine abbia fatto quel milione di robotaxi che avremmo dovuto vedere sulle strade entro il 2020. Scherzi a parte, se parliamo di innovazione e hype cycle, il primo pensiero non può che andare ad Elon Musk.

Realtà virtuale e realtà aumentata: il lavoro ibrido di Facebook Workrooms (metaverso)

La pandemia Covid-19 ha accelerato i processi di smart working e le applicazioni digitali necessarie al suo svolgimento, creando una notevole aspettativa di investimento sui modelli e sulle tecnologie legate al lavoro ibrido.

Si tratta di una percezione che presenza molti punti di contatto con il cosiddetto metaverso, dimensione digitale in cui il mondo reale e il mondo virtuale si incontrano per dare vita ad un ambiente collaborativo in grado di superare i confini del tempo e dello spazio.

In questo contesto, Facebook ha recentemente presentato Horizon Workrooms, un’applicazione per Oculus Quest 2 in grado di creare un ambiente di riunione collaborativo in multipresenza, dove condividere uno spazio virtuale con gli avatar di utenti che possono fisicamente trovarsi in qualsiasi luogo. Il metaverso si basa sul paradigma tecnologico della realtà aumentata in cloud (cloud AR), più comunemente noto come spatial computing.

Rispetto alle piattaforme di team collaboration basate sulla videoconferenza e le interfacce 2D, come Zoom, Microsoft Teams Google Meet o Cisco Webex, una soluzione spaziale in ambiente 3D sarebbe in grado di coinvolgere maggiormente gli utenti, grazie alla componente immersiva che caratterizza il design dell’esperienza. Ma il condizionale è d’obbligo.

Alla prova dei fatti Workrooms, che la stessa Facebook presenta in Beta, senza voler illudere nessuno, non è tecnologicamente maturo per costituire un’alternativa pratica. Non è pronto il software, così come l’ecosistema VR di Oculus su cui si appoggia. Nessuno sostituirebbe mai una pipeline diffusa e consolidata per la team collaboration con qualcosa di più lento, impreciso, limitato nelle funzioni e pieno di bug, per quanto sia indubbiamente divertente da usare.

Siamo nella fase della sperimentazione e della early adoption, in cui si inizia a scoprire il potenziale delle tecnologie immersive in questo ambito. Un passo necessario verso la maturità.

Come nel caso di Tesla Bot, non stiamo inoltre assistendo ad una novità. Esistono da tempo sul mercato soluzioni come Spatial per i meeting, piuttosto che Gravity Sketch per il design, peraltro utilizzato con successo da molti progettisti e team di ricerca di aziende multinazionali, ma il fatto che sia un big tech come Facebook ad esporsi in prima persona offre agli investitori molte più garanzie. Se Zuckerberg investe miliardi di dollari in questa tecnologia, perché non dovremmo fidarci di lui?

Che il futuro della collaborazione propenda verso il metaverso appare inoltre palese per il fatto che anche le piattaforme tradizionali stanno ricercando estensioni in realtà virtuale e in realtà aumentata per le loro applicazioni.

Servirà almeno una intera generazione di sviluppo hardware-software nelle XR affinché questo sogno diventi realtà, reale o virtuale che dir si voglia. Investire ora, sulla scia dell’aspettativa attuale, equivale a farsi trovare pronti… “when it’s ready”, sviluppando un importante vantaggio competitivo rispetto a chi si porrà il problema soltanto in un secondo momento.

Scritto da:

Francesco La Trofa

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin