Un team di ricercatori italiani - avvalendosi di tecniche di intelligenza artificiale - ha messo a punto una pelle biomimetica da integrare sulla superficie dei robot, aprendo a prospettive di impiego che spaziano dalla medicina all’industria 4.0.

TAKEAWAY

  • Rivestire i robot di una pelle, sensibile quasi quanto quella umana: è l’obiettivo che si è posto un team interuniversitario italiano, coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, per una ricerca che ha ottenuto primi, importanti risultati.
  • La pelle biomimetica è frutto di un lavoro che ha visto l’impiego di sensori e tecniche di intelligenza artificiale – in particolare deep learning – per garantire la localizzazione del punto di contatto e quantificare l’intensità della forza con cui il robot interagisce con l’ambiente.
  • Le opportunità della scoperta sono molteplici: dall’industria 4.0 al campo dell’assistenza medica e della persona, fino alle protesi bioniche sono svariate le potenzialità di impiego offerte, che permettono una maggiore interazione tra persone e robot.

Coniugare tecniche di intelligenza artificiale e biorobotica per creare una pelle biomimetica da impiegare per rivestire i robot e permettere loro di rilevare immediatamente la posizione e l’intensità del contatto. È il risultato di una ricerca congiunta, a firma italiana, coordinata dall’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e in collaborazione con l’IIT, “La Sapienza”, il Campus Bio-Medico di Roma e l’università Ca’ Foscari di Venezia, e con il centro di competenza ARTES 4.0, pubblicata sulla rivista scientifica Nature Machine Intelligence come storia di copertina.

La ricerca apre a prospettive di notevole impatto, sia nel mondo della medicina e bioingegneria sia nell’industria, per una nuova generazione di robot più interattivi: si arriva così ad avvicinarsi sempre più ai principi dell’Industria 4.0 (o forse ancor più verso l’Industry 5.0).

La disponibilità di sistemi di rilevamento intelligenti è un requisito essenziale per la coesistenza in ambienti non strutturati. «Un robot in grado di percepire, classificare e rispondere al tatto in tutto il corpo, imitando idealmente le prestazioni sensoriali umane, potrebbe portare a interazioni più significative e intuitive» scrivono gli autori su Nature Machine Intelligence in un articolo dal titolo “Functional mimicry of Ruffini receptors with fibre Bragg gratings and deep neural networks enables a bio-inspired large-area tactile-sensitive skin”. C’è poi l’ambito dell’assistenza alla persona, dalla chirurgia robotica alla robotica assistiva, fino al campo della protesica, con soluzioni bioniche sempre più avanzate [per approfondimenti, consigliamo la lettura della nostra guida sulla robotica, che spiega cos’è, come funziona e quali sono gli ambiti di applicazione – ndr].

Intelligenza artificiale e biorobotica: come è nata la pelle biomimetica

I robot sentono e percepiscono grazie a una pelle artificiale destinata a cambiare l’interazione con le persone e l’ambiente circostante. Una pelle artificiale sensorizzata, costituita da una matrice polimerica soffice, sensori tattili in fibra ottica e dotati di AI. Intelligenza artificiale e biorobotica diventano elementi inscindibili. Tutto parte dal sensore, quale strumento di misura.

Ci sono condizioni in cui il concetto di misura diventa complesso. È il campo dei sensori fisici, in cui le misure di forza distribuita presentano complessità nell’essere effettuate ed è il caso, per esempio, di due corpi a contatto e che hanno una superficie complessa, come possono essere un uomo e un robot.

La pelle permette di riconoscere la localizzazione e l’intensità del contatto, grazie ai “sensori” di cui è dotata, tra questi i corpuscoli di Ruffini, specifici recettori epidermici specializzati alla sensibilità termica. Ma è decisamente più complicato ricreare tutto questo artificialmente. Ed è da qui che è partita la ricerca per la pelle biomimetica.

«Da una parte abbiamo sviluppato un trasduttore (dispositivo che trasforma una grandezza fisica in una grandezza elettrica – nda) e dall’altra abbiamo impiegato l’intelligenza artificiale per risolvere la calibrazione del sistema dei sensori» spiega Calogero Oddo, docente e coordinatore del Neuro-Robotic Touch Laboratory presso l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, specializzato nello studio del tatto e nella comprensione dei meccanismi relativi.

In questo video, il professore spiega le potenzialità della ricerca che abbina intelligenza artificiale e biorobotica per creare la pelle biomimetica:

Focus su deep learning e sensori fotonici

Sono, in particolare, le tecniche di deep learning ad avere un ruolo determinante nel riuscire a ottenere una misura in modo distribuito, potendo essere in grado di localizzare il contatto e misurarne l’intensità su vari punti e su una superficie geometricamente complessa.

«Tramite uno specifico addestramento della rete neurale, l’oggetto è in grado di apprendere e di trasformare una serie di esempi ed esperienze vissute dalla macchina in informazioni calibrate che consentono di fare la misura».

L’oggetto in questione è la pelle biomimetica costituita da una matrice polimerica morbida, simile a un avambraccio umano, incorporata con specifici trasduttori denominati “sensori fotonici a reticolo di Bragg”.

«Inserito in un sistema meccatronico, sono state effettuate sperimentazioni che offrono esempi al sistema dotato di sensori, addestrato da una rete neurale mediante un volume elevato di misure per riconoscere progressivamente il punto e l’intensità di contatto. Così l’intelligenza artificiale dà alla pelle biomimetica la possibilità di “apprendere”, ora e in futuro, gli stimoli sensoriali e di localizzarli» specifica ancora Oddo.

Successivamente l’intelligenza artificiale entrerà anche nella strategia di controllo del robot, fornendogli la possibilità di interagire con la persona e avere la capacità di generalizzare. Sarà un altro passo avanti che sarà possibile fare combinando intelligenza artificiale e biorobotica.

Tatto e pelle, dove intelligenza fisica e artificiale si coniugano

Il tatto è uno dei cinque sensi ed è ancora materia di studio per comprendere le opportunità che può fornire alla scienza e alla tecnologia. Non è un caso che l’ultimo premio Nobel per la Medicina sia stato attribuito a due studiosi, David Julius e Ardem Patapoutian, e alle loro scoperte sui recettori della temperatura e del tatto.

Se la nostra cute può contare di un sistema altamente avanzato, con circa 4 metri di fibre nervose e più di 400 recettori nervosi, la pelle artificiale messa a punto dagli scienziati italiani cerca di avvicinarsi quanto più possibile a questa perfezione naturale.

Per questo, nello studio si è utilizzata «l’integrazione tra intelligenza fisica e intelligenza artificiale», come sottolinea Edoardo Sinibaldi, ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che lo ha co-supervisionato dal punto di vista scientifico.

Il posizionamento dei sensori all’interno della pelle artificiale, infatti, si basa sull’intelligenza fisica, spiega lo stesso ricercatore IIT:

«… affinché si parlino tra loro tramite la pelle stessa, i sensori devono essere posizionati a una certa distanza e profondità, mentre l’interpretazione del segnale prodotto dai sensori impiega l’intelligenza artificiale. Inoltre, per ottenere risultati più accurati dagli algoritmi di intelligenza artificiale, abbiamo usato un insieme di griglie di calcolo, come spesso viene fatto per problemi di fluidodinamica computazionale, a testimonianza del fatto che questo campo di ricerca può essere affrontato efficacemente con un approccio multidisciplinare»

«Con questa tecnologia innovativa di tatto artificiale abbiamo mostrato la capacità di codificare, su un’area larga e con geometria complessa, due proprietà fondamentali e caratteristiche della percezione tattile umana: la localizzazione del punto di contatto e l’intensità della forza con cui il robot interagisce con l’ambiente» afferma Oddo, coordinatore scientifico dello studio. 

Intelligenza artificiale e bioroboticaprospettive di ricerca

Effettuata la ricerca, ora si aprono due filoni: uno scientifico-tecnologico e un altro applicativo. «Da una parte si cercherà di ottimizzare le caratteristiche metrologiche aggiungendo sensori. E, in questo, aiutano i sensori a reticolo di Bragg. Dall’altra, si percorreranno nuove strade e, a questo proposito, si guarderà all’ambito neuromorfico, cercando così di trasformare i segnali di codifica dei sensori in impulsi neurali simili al funzionamento dei neuroni. Questo aprirebbe a soluzioni di neuroprotesica» illustra il docente.

In ambito applicativo, si punterà a protesi bioniche, applicazioni mediche per la chirurgia robotica e telemedicina, che potranno fornire un contributo importante ai robot nell’operare, anche a distanza, in modo sempre più preciso e con una sensibilità ancora più accurata. Ancora una volta svolgerà un ruolo essenziale l’intelligenza artificiale nella biorobotica.

Sempre in ambito biomedicale, si possono aprire anche prospettive per la robotica assistiva, che opera in contesti domestici per fornire assistenza.

Le potenziali applicazioni di questa ricerca spazieranno anche nel contesto industriale, con la possibilità di collaborazione ravvicinata tra cobot e lavoratori, permettendo ai robot di cooperare fisicamente in spazi comuni non strutturati: le tecnologie messe a punto abilitano l’interazione uomo-macchina, garantendo la sicurezza e l’incolumità delle persone.

Pensiamo, per esempio, all’ausilio di un esoscheletro per sollevare o spostare carichi: grazie a una sensibilità e a una maggiore “intelligenza” si eviteranno situazioni che possono mettere a rischio la persona.

Gli esiti di tutta la ricerca e le potenzialità che essa apre saranno portati in futuro sul mercato, proprio grazie alla collaborazione con il Centro di Competenza ARTES 4.0 e le imprese ad esso associate, protagoniste in settori chiave quali la robotica e la microelettronica.

«Così sarà possibile trasferire queste tecnologie di frontiera ad applicazioni industriali innovative di interazione persona-macchina-ambiente, che genereranno casi d’uso per la trasformazione digitale, migliorando la sicurezza sul lavoro e consentendo di programmare i robot con un semplice gesto interattivo o mediante l’esempio» sottolineano gli stessi autori della ricerca.

Scritto da:

Andrea Ballocchi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin