Un ricercatore della Boston University e del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Harvard University, in un recente articolo pubblicato su Science, ha illustrato gli ultimi importanti traguardi raggiunti nel campo di studi che si occupa della progettazione di mani robotiche dotate di senso del tatto.

Progettare una mano robotica che, per sensibilità tattile, si avvicina a quella umana: oggi, la ricerca nell’ambito dell’ingegneria robotica sembra essere a una svolta.

La mano robotica simile a quella umana, capace di “sentire” le caratteristiche delle superfici e degli oggetti con i quali viene a contatto – il calore, il freddo, la pressione, la ruvidità – potrebbe rivoluzionare le funzionalità dei robot umanoidi dediti all’assistenza, avvicinandoli a compiti che richiedono percezione tattile e manualità di precisione – come, ad esempio, verificare che il bucato steso sia asciutto o preparare alcuni tipi di pietanze – o a operatività specifiche in ambiti particolari, tra cui quello chirurgico. Ma non solo.

Pensiamo alle protesi con braccia e mani robotiche e ai benefici che queste regalerebbero ai pazienti se fossero dotate di sensibilità tattile. Già nel 2016, la statunitense Deka Research & Development – dopo dieci anni di studio e di test condotti su un centinaio di pazienti – sviluppò “Luke”, protesi con braccio robotico controllata attraverso elettrodi posti sui muscoli e che, grazie a sensori di pressione posizionati sulle dita, metteva il paziente nelle condizioni di ricevere feedback che lo avrebbero aiutato a capire quanta pressione esercitava con l’arto.

Ma la prima protesi con mano robotica sensibile al tatto – collegata ai nervi e ai muscoli del moncone del paziente – risale al 2019 e rientra nel progetto DeTop, coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e finanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma Horizon 2020il cui fine è affrontare il problema scientifico, tecnologico e clinico del recupero delle funzioni della mano dopo un’amputazione.

In particolare, la protesi, applicata a una donna svedese presso lo Sahlgrenska University Hospital in Svezia, utilizza sedici sensori inseriti nei muscoli residui e, grazie agli elettrodi che la connettono al sistema nervoso della paziente, consente il recupero delle sensazioni tattili perse. Questo è stato l’ultimo grande traguardo. Vediamo a che punto è ora la ricerca.

Mano robotica e percezione tattile, dalla biologia alla macchina

Subramanian Sundaram, ingegnere e ricercatore alla Boston University e al Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Harvard University, in un recente articolo pubblicato sulla rivista Science, ha illustrato gli ultimi importanti obiettivi raggiunti in questo specifico ambito di studi.

Iniziamo col primo, in ordine di tempo. All’inizio di questo 2020, un team della Columbus University, a New York, ha progettato un dito robotico dotato di senso del tatto sovrapponendo emettitori di luce a sensori, emulando in questo modo la disposizione dei recettori tattili del sistema nervoso umano. Le reazioni dei sensori alla luce, sono state poi analizzate mediante algoritmi di deep learning.

Un altro filone di ricerca – continua Subramanian Sundaram – sta lavorando alla messa a punto della “pelle elettronica” in grado di percepire le pressioni, funzione che, nel corpo umano, è svolta dai recettori pressori.

E poi c’è un indirizzo di ricerca che indaga sull’applicazione della Computer Vision alle protesi con arti robotici. Che cosa significa nel concreto? Che, alla mano robotica, vengono aggiunti gli “occhi” delle telecamere, le cui immagini riprese vengono elaborate per mezzo delle Reti Neurali Convoluzionali profonde (CNN) – dall’inglese Convolutional Neural Network, un particolare tipo di rete neurale artificiale – che le trasformano in dati tattili.

C’è poi un altro filone di ricerca, quello concentrato sul cosiddetto dito bionico, che mira a sfruttare le sensibilità tattili artificiali per ridefinire la scansione diagnostica del corpo umano.

In estrema sintesi, la mano robotica potrebbe avvalersi degli occhi di una telecamera per effettuare la scansione di un determinato oggetto e, sulla base di tali dati video, pianificare i propri movimenti per la sua presa e poi usare il tatto per il feedback, in modo da capire quanta pressione ha esercitato e regolarsi per il futuro.

mano robotica sensibilità tattile
La mano robotica capace di “sentire” le caratteristiche degli oggetti e delle superfici con i quali viene a contatto, potrebbe rivoluzionare le funzionalità dei robot umanoidi.

L’ultima frontiera: cervello umano e protesi robotica che comunicano direttamente tra loro

Ciò che oggi, a fine 2020, deve essere chiaro – osserva Sundaram – è che le tecniche di intelligenza artificiale, tra cui machine learning e deep learning, rappresentano, nella progettazione delle protesi con mano robotica dalla sensibilità tattile, strumenti decisivi per l’elaborazione dei dati raccolti dai sensori posti nei muscoli residui del paziente e sullo stesso arto artificiale.

A proposito di Luke, la protesi con braccio robotico sviluppata nel 2016, Sundaram ha ricordato che il team di ricerca che se ne è occupato ha utilizzato un’interfaccia macchina-sistema nervoso umano, il cui obiettivo è quello di controllare il braccio artificiale e riuscire, al tempo stesso, a percepire ciò che “sente” la mano robotica a contatto con superfici e oggetti.

La pressione esercitata su determinati oggetti e superfici da parte della mano robotica di Luke, attiva l’interfaccia neurale che, a sua volta, sollecita i nervi del moncone del paziente, in modo che il cervello elabori quella pressione come percezione tattile.

Una volta, poi, che l’algoritmo AI ha analizzato quei dati di pressione, il paziente diventa in grado di identificare i diversi oggetti attorno a lui anche a occhi chiusi, solo attraverso il tatto, senza dover ricorrere alle immagini raccolte dalla telecamera.

Ora, il passo successivo è aumentare il numero dei sensori nei muscoli residui del paziente e sulla mano robotica, col fine di produrre sempre più grandi quantità di dati (di alta qualità). Conclude il ricercatore della Boston University e del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering dell’Harvard University:

Oltre al semplice sensore di pressione, ora abbiamo bisogno di qualcosa che catturi la miriade di sensazioni tattili, che vanno dalla percezione della leggerezza di una piuma alla pesantezza del ferro, dalle vibrazioni a tutte le sfumature di temperature. Insomma, arrivati a questo punto, abbiamo bisogno di più sensori

Sarà questo il prossimo step della ricerca.

Scritto da:

Paola Cozzi

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin