Secondo il suo “fondatore” Gavin Wood, il Web3 è un ecosistema decentralizzato e basato sulla blockchain. Tra chi lo ama alla follia e chi lo ritiene una moda passeggera, forse soltanto ora si inizia a capire cosa il Web3 voglia fare da grande. Il metaverso potrebbe essere la sua grande occasione.
TAKEAWAY
- Il Web3 ha avuto un inaspettato rilancio in termini di popolarità al termine del 2021, quando la popolarità di blockchain, NFT e metaverso ne hanno rispolverato la missione decentralizzante, per restituire internet agli utenti, sottraendolo al controllo di Facebook e Google, i dominatori della scena Web 2.0
- Il Web3 è al centro di un avvincente dibattito tra chi lo ritiene l’unica soluzione per l’internet sociale del futuro e chi lo liquida come una marketing buzzword come se ne sono viste tante
- Il Web3 continua la propria ricerca di identità dal punto di vista tecnologico. Al momento la blockchain non offre la maturità per farne un modello globale, me le singole esperienze crescono e rivelano potenzialità sempre più interessanti
Il Web3 è un fenomeno tra i più chiacchierati e mediatici da un buon annetto a questa parte, figuriamoci quando Mark Zuckerberg ha detto che Facebook si chiamerà Meta per iniziare a fare sul serio nel metaverso, quella fusione di mondi reali e virtuali in cui probabilmente passeremo le nostre giornate nei prossimi anni.
In realtà, ciò che il Web3 si propone di fare è l’esatto opposto di quanto ha fatto la fortuna di colossi come Facebook e Google, i padri padroni del Web 2.0, in cui i social network e il più famoso motore di ricerca del web sono riusciti ad accentrare il traffico di dati su internet come mai si era assistito in precedenza.
Sono passati ormai otto anni da quando Gavin Wood, fondatore di Polkadot e già co-fondatore di Ethereum, insomma, uno che di blockchain qualcosina dovrebbe capirne, ha introdotto il Web3 come un “ecosistema online decentralizzato e basato sulla blockchain”.
Per quanto il tempo dei bilanci sia prematuro, la dilagante popolarità del Web3 rende opportune alcune riflessioni per capire se stiamo parlando di una bolla di sapone o di un nuovo paradigma della comunicazione, pronto ad esplodere in tutta la propria dirompente portata.
Web3 vs Web 3.0: tanto diversi da essere diventati la stessa cosa
La definizione di Gavin Wood non coincide con quella che ben quindici anni prima, più esattamente nel 1999, il padre del web, Tim Berners-Lee diede al web semantico, successivamente confluito quale componente fondamentale del Web 3.0 (2006). Il web semantico si basava su presupposti tecnologici totalmente differenti rispetto al Web3 cui fa riferimento Wood, e si focalizzava in particolar modo sull’Intelligenza Artificiale.
Se i concetti si sovrappongono in maniera confusionaria, a livello tecnologico il dubbio nemmeno si pone, dal momento che la blockchain è sostanzialmente comparsa con la leggendaria newsletter in cui Satoshi Nakamoto annunciava il progetto bitcoin: era il novembre del 2008. Nella prima definizione di Web 3.0, la blockchain di fatto non esisteva ancora.
La forte analogia nella terminologia tra Web3 e Web 3.0 ha per lunghi periodi tratto in inganno anche diversi addetti ai lavori, al punto che oggi si tende ormai ad accomunare sotto un unico cappello la terza evoluzione del web, dove il Web 3.0 costituisce il termine ombrello e il Web3 la versione decentralizzata basata sulla blockchain a cui fanno riferimento Gavin Wood e i sostenitori della cultura decentralizzata.
La conferma di tale atteggiamento arriva dalla stessa Web3 Foundation:
“La nostra passione è distribuire il Web 3.0, una internet decentralizzata ed equa, dove gli utenti controllano i loro dati, la loro identità e sono padroni del loro destino […] Supportiamo i team Web 3.0 e i progetti open source garantendo il finanziamento, il patrocinio, la ricerca e la collaborazione”. Lo stesso Web3 Summit si autodefinisce quale “Evento annuale per tutti i membri del movimento Web 3.0”
A prescindere dal volersi imporre quale punto di riferimento, il Web3 ha l’indubbio merito di aver rivitalizzato un paradigma, quello del Web 3.0, che aveva ormai smarrito parte dell’entusiasmo iniziale, riaccendendo il dibattito secondo una nuova prospettiva tecnologica, orientata sulla blockchain e la sua figurazione nel metaverso, le nuove carte da giocare contro il cattivone di turno: il Web 2.0
Web3: l’internet del futuro o una marketing buzzword?
In un tweet del dicembre 2021, Sam Altman, già ai piani alti di Y.Combinator ed attuale CEO di OpenAI, il Deep Learning brand di Microsoft, ha riconosciuto il notevole potenziale del Web3, anche grazie alla notevole abbondanza di denaro attualmente in cerca di investimenti su soluzioni innovative. Negli anni 20 del secolo corrente, i Venture Capital potrebbero accettare ritorni inferiori rispetto al decennio precedente, pur di mettere le mani su una tecnologia potenzialmente dirompente.
Elon Musk, che su Twitter non se ne lascia davvero sfuggire una, al punto di volerlo acquistare, gli ha prontamente risposto con un eloquente “Web3 sounds like bs”, dove quel bs è l’acronimo anticensura di bullshit, il cui significato può essere facilmente localizzato grazie a qualsiasi traduttore online.
Tra essere la next big thing o una bullshit è innegabile che possano esservi molte sfumature intermedie, anche se per adesso le mezze misure paiono non essere al centro dell’interesse comune. Tendono a formarsi schieramenti su posizioni piuttosto nette.
Sul fronte favorevole al Web3 si schiera il popolo della cultura decentralizzata, dei progetti DeFi, NFT e dei metaversi basati sulla blockchain, le cui ragioni sono ampiamente note.
Sul fronte degli scettici, oltre a chi, senza argomentare troppo, liquida il Web3 come una moda passeggera, si posizionano soprattutto i tecno-pragmatici, che ritengono la blockchain una tecnologia troppo acerba e costosa per quanto concerne le risorse computazionali affinché possa imporsi in un contesto differente dalle cripto.
Al tempo stesso, gli scettici ritengono che ambizioni della portata del Web3 richiedano investimenti che, a meno di una clamorosa svolta nella condotta dei soggetti pubblici, al momento sarebbero ad esclusiva portata dei big tech e che dunque saranno ancora loro a guidare il web verso il suo prossimo stadio evolutivo.
Web3 e blockchain: una bellissima utopia tecnologica, non sostenibile e priva di una governance
Il Web3 oggi si manifesta attraverso singole esperienze, episodi che comunicano attraverso gli standard stabiliti dal W3C, che tuttora garantisce la continuità funzionale del World Wide Web, permettendo al mondo intero di navigare nella stessa rete. Non esiste insomma un consorzio analogo per il web decentralizzato ed è la ragione per cui molto probabilmente nel post web non avremo un unico metaverso, ma continueremo a vivere esperienze in una pluralità di differenti mondi virtuali.
L’assenza di una governance globale per il Web3 è dovuta ad una pluralità di fattori, in parte dovuta alla gioventù del fenomeno e in larga prevalenza al fatto che gli attori dominanti della rete preferiscono mantenere la propria egemonia sviluppando soluzioni tecnologiche proprietarie, in attesa di capire quale direzione prenderà effettivamente il mercato.
Dal punto di vista puramente tecnologico, come preannunciato, il Web3 si fonda anima e corpo sulla blockchain. In termini squisitamente gergali, portare su scala globale il web su blockchain non sarebbe al momento fattibile per quanto riguarda l’enorme quantità di risorse IT necessaria.
In questa sede non ci dilungheremo su questi aspetti, promettendo di farlo in altre occasioni. Per il momento ci basti sapere che tracciare su una blockchain tutte le transazioni che avvengono normalmente sul web oggi sarebbe qualcosa di improponibile anche al solo pensiero. Domani, chissà.
Il nemico non dorme mai: quando Zuckerberg osserva e gioca d’anticipo
Una realtà commerciale come Meta, attore principe del Web 2.0 che guarda al metaverso, vanta un ecosistema estremamente maturo e solido economicamente, che non ha di fatto alcuna intenzione di farsi sorprendere dalle novità più interessanti del Web3.
Nel corso della sua incredibile carriera imprenditoriale, Mark Zuckerberg ha più volte giocato d’anticipo per mantenere il proprio vantaggio competitivo, spesso usando proprio le armi dei suoi competitor con una potenza di fuoco incredibilmente superiore. Abbiamo ragione di credere che cercherà di farlo anche stavolta. Anzi, l’evidenza dei fatti ci dice che abbia già cominciato, senza fare troppi complimenti.
Quando i metaversi blockchain come Decentraland e The Sandbox hanno annunciato il proprio modello di business decentralizzato e basato sulla blockchain, Meta non ha impiegato molto ad implementare nel suo Horizon Worlds le dinamiche play-to-earn necessarie per coinvolgere il pubblico, preannunciando inoltre che inizierà a supportare gli NFT addirittura su Instagram, ponendosi di fatto quale alternativa ai marketplace verticali come OpenSea, SuperRare, Rarible, Foundations o quelli all-in-one come Crypto.com o Binance. Piatto ricco, mi ci ficco.
I business tradizionali potranno del resto innovare la propria offerta grazie a soluzioni basate sulla blockchain, come gli smart contract, sfruttando semplicemente i vantaggi del modello tecnologico, senza dover necessariamente sposare da cima a fondo i principi etici della cultura decentralizzata. Qualora non l’avessero ancora fatto è perché la blockchain non offre al momento sufficienti garanzie o una convenienza economica tale da preferirla alle soluzioni tecnologiche consolidate.
Come risponderà il pubblico? Pur agli antipodi rispetto alla cultura decentralizzata dell’universo blockchain, degli NFT e delle criptovalute, una realtà come Meta partirà sempre da una posizione dominante, grazie ai miliardi di utenti già registrati sui propri social network.
Uno dei punti di forza del Web3 è appunto la blockchain, nativamente basata su tecnologia open source. Meta non c’ha pensato due volte nel fare altrettanto, rendendo libere molte delle tecnologie sviluppate in questi anni da Facebook Research. Tale mossa non è ovviamente mossa da spirito francescano, ma mira esplicitamente a coinvolgere apertamente la community degli sviluppatori e i centri di ricerca universitari di tutto il mondo, allargando ulteriormente la propria base utenti, grazie a soluzioni tecnologicamente avanzate, risultato di miliardi di dollari in termini di investimenti.
Certo, tutto questo avrà un prezzo, e sarà anche piuttosto alto da pagare. Secondo le prime indiscrezioni, pubblicate proprio nel momento in cui scriviamo, i creatori di contenuti di Horizon World pare che saranno tenuti a versare addirittura il 47,5% dei proventi delle vendite sullo store del metaverso di Meta. Per inciso, Apple, spesso criticata per essere molto esosa, nel suo store trattiene il 30%. Si tratta di contesti molto differenti e in gran parte ancora da delineare, ma i sostenitori del web decentralizzato avranno probabilmente una ragione in più per continuare ad esserlo, anche a costo di rimanere imbrigliati in una lotta impari contro i colossi del tech.
Web3: è davvero decentralizzato e democratico?
Il Web3, quale internet decentralizzato, costituisce uno dei concetti tecnologici più affascinanti di sempre, ma non è esente da complessità per quanto concerne quegli aspetti di governance che in un modello centralizzato si tende addirittura a dare per scontata.
La blockchain, nella sua accezione più pura, è un modello perfettamente democratico, che si basa su una rete di server di fatto si controllano a vicenda, senza richiedere un controllore a livello centrale. Il software che regola il funzionamento dei server è open source. Tutti possono controllare tutti e la catena di blocchi che viene registrata non consente eccezioni. Il software di gestione globale, installato su ogni nodo, può essere variato soltanto con il supporto di una larga maggioranza consensuale tra i nodi stessi.
Finché si tratta di tracciare transazioni e gestire smart contract, il gioco pare funzionare molto bene. Più incerta la situazione quando si tratta di implementare la stessa tecnologia verso esperienze interattive come i social network e i mondi virtuali, dove le variabili comportamentali aumentano a dismisura, rendendo il tutto decisamente più imprevedibile.
L’esempio più eloquente deriva dal metaverso. Un metaverso decentralizzato attira moltissimo gli investitori per il fatto di non avere uno Zuckerberg a dettare le regole e a cambiarle in continuazione a proprio esclusivo vantaggio. Moltissimi brand stanno investendo quali pionieri del virtual real estate, acquistando terre su Decentraland e The Sandbox a cifre che nulla hanno a che invidiare al mercato immobiliare del mondo reale. Su queste terre insediano le proprie architetture e loro esperienze virtuali, per attirare il pubblico che vive il metaverso stesso e vi crea i contenuti necessari per la sua espansione.
Chi possiede le terre ha voce in capitolo nel governo del metaverso, ma ciò non impedisce lo svolgimento di un’attività politica che potrebbe portare di fatto una centralizzazione del potere. Si tratta di uno scenario del tutto inedito, i cui effetti andranno valutati se e quando i mondi virtuali decentralizzati si popoleranno in maniera apprezzabile.
Dal punto di vista della democratizzazione, la blockchain e le sue derivazioni non sono una tecnologia semplice, pertanto tendono a privilegiare chi ha competenze molto elevate in merito. Non è per forza un limite, ma una caratteristica di cui è necessario prendere atto.
Un caso eloquente si è verificato con una vendita di Adidas per una serie limitata di NFT, con un limite di un acquisto per ogni persona. Grazie all’impiego dei bot, alcuni utenti sono facilmente riusciti a bypassare questo limite, accaparrandosi centinaia di NFT ai fini di rivenderli a prezzi decisamente maggiorati. In un contesto decentralizzato, Adidas non ha potuto impedire che ciò accadesse, né rendere nulle le transazioni effettuate in maniera difforme dalle regole prefissate.
La democratizzazione del Web3 non è dunque sempre da intendersi quale un’equità di opportunità per gli utenti, quanto in termini di indipendenza dalle dinamiche con cui i big tech regolano e centralizzano il funzionamento dei loro servizi, lasciando ben poca voce in capitolo agli utenti finali. Si tratta di concetti piuttosto differenti ed al momento non si può negare che vi sia una certa confusione in merito.
Cosa interessa davvero alle persone? Il valore relativo della privacy
Il punto di rottura che il Web3 intende proporre rispetto al Web 2.0 si basa indubbiamente su nobili intenzioni. Tuttavia, dopo averne compreso bene o male i presupposti teorici, viene da chiedersi se, all’atto pratico, a qualcuno tutto ciò interessi davvero.
Il fatto che i propri dati vengano ceduti ad un fornitore di servizi che di fatto li riutilizza per scopi commerciali cedendoli a terzi è certamente discutibile dal punto di vista etico, ma diversi sondaggi hanno rilevato come soprattutto il pubblico più giovane sia maggiormente interessato alla qualità dei servizi che non alla propria privacy.
Ergo, se devo cedere i miei dati per avere una miglior esperienza d’acquisto su Amazon, lo faccio senza eccessive preoccupazioni, proprio perché il tracciamento comportamentale consente agli assistenti virtuali di orientare nel modo migliore la mia CX, garantendomi ciò che mi interessa. Allo stesso modo, se devo cedere i miei dati a Google Maps per arrivare in tempo ad un appuntamento evitando gli ingorghi nel traffico, attiverò il segnale GPS senza pensarci due volte, anche se in questo modo Google saprà tutto in relazione ai miei spostamenti. E così via.
La questione privacy vs experience dovrà essere certamente normata meglio rispetto a quanto finora avvenuto e magari proprio l’evoluzione del Web3 potrebbe offrire spunti risolutivi. Al momento il fenomeno è troppo marginale affinché possa risultare realmente rappresentativo.
Web3: scenari di futuro tra blockchain, NFT e metaverso
Le difficoltà evolutive e gli errori di gioventù non consentono di sciogliere i nodi giustamente sollevati dai più scettici, ma gli incredibili investimenti che vedono ogni giorno protagonisti i progetti basati su blockchain, NFT e metaverso decentralizzato, danno l’impressione pratica che il Web3 sia ben più di una semplice marketing buzzword.
Il Web3 potrà riproporre lo scenario a cui abbiamo assistito nel passaggio tra il Web 1.0 e il Web2.0, segnato da una effettiva variazione di paradigma, o rimarrà una sfera anarcoide nell’orbita del web attuale, iper-centralizzato, che continuerà ad essere dominato dai giganti del tech?
Comunque vada a finire, il Web3 è una storia di tecnologia e innovazione che merita di essere raccontata. Guardando al futuro ci si rende conto di quanto lavoro ci sia ancora da fare e probabilmente le pagine che scriveremo narreranno le vicende di un Web3.5, tecnologicamente più evoluto rispetto alle attuali esperienze, ma non troppo intenzionato a garantire quel salto generazionale promesso dai pionieri del metaverso.
La grande sfida tra i metaversi centralizzati e quelli decentralizzati potrebbe rivelarsi il campo su cui si giocherà la battaglia tra il successore del Web 2.0 e il Web3, una disputa che probabilmente non sarà nemmeno necessario combattere, qualora i differenti modelli si dimostrassero capaci di convivere proprio grazie alle radicali differenze su cui si fondano. Per dare una risposta a questa domanda servirà almeno una generazione tecnologica, a cui corrisponderà l’ennesima, sostanziale, variazione a livello socio-economico.