Per diventare futurista forse, al di là del metodo e del percorso di studi, serve un’attitudine. Quella del generalista che si distrae facilmente, che non rimane a lungo sullo stesso argomento.

Jamais Cascio ha fatto questo per lavoro: da venticinque anni, metà della sua vita, è un futurista che si distrae facilmente e cambia soggetto. Per lavoro descrive gli scenari probabili o possibili [secondo i principi del Futures Thinking e dei Futures Studies – ndr], che potrebbero o potranno avvenire, ma lo fa in modo unico. Lo fa mettendo insieme ambiti sia scientifici che sociali ed economici, tra loro diversi. E cambiando punto di vista molto spesso. Il background che l’ha portato a questo lavoro, che in Italia e in Europa è meno noto ma che negli Usa è da tempo consolidato, è un interesse onnivoro per discipline tra loro differenti. Cascio infatti ha studiato storia, antropologia e scienze politiche, ha ottenuto un master in politica internazionale, e poi ha coltivato un interesse sempre più forte per il mondo dei computer. E, all’inizio degli anni Novanta, si è chiesto: che lavoro posso fare dopo aver sviluppato queste caratteristiche?

La risposta è stata lo “scenario planning“, una attività che in realtà all’epoca interessava molto le aziende, perché consentiva di disegnare scenari operativi in una fase post-guerra fredda, subito dopo la caduta del muro di Berlino, in cui l’incertezza era sovrana, forse quanto se non più di adesso.

Il futuro visto da un futurista

Cascio però non si è fermato a una prospettiva di analisi da istituto per le politiche o da Think Tank della politica economica mondiale. Invece, ha attraversato gli ultimi venticinque anni con una serie di progetti anche molto creativi che lo hanno reso uno dei futuristi più ricercati e ascoltati per varietà di stimoli e capacità di abbracciare settori diversi in maniera a volte sorprendente [recentemente ha fatto parlare di sé per l’ideazione del modello BANI, acronimo di Brittle, Anxious, Non-linear, Incomprehensibile, che promette di offrire una modellazione di scenari più moderna ed attuale rispetto al VUCA – ndr].

«Il futuro – ci spiega in una intervista in videcall tra Milano e la California del Sud – è semplicemente un’accumulazione di conseguenze. Non leggo il futuro come una chiromante. Invece, mi occupo di fare previsioni, come quelle dei meteorologi. Basate su dati oggettivi messi in relazione tra loro. Scenari possibili o probabili. Non potrei fare altro: il mio lavoro è combinare tecnologie, ambiente e scienza per capire i modi più strani che collegano queste cose e pensare alle conseguenze».

Non c’è futuro senza ambiente

Il futurista Jamais Cascio

Il suo lavoro è sempre stato molto ampio anche per il tipo di ambiti in cui si è svolto. Dall’ambientazione del “Transhuman Space” usato per una serie di giochi basati su ipotesi e scenari realistici a fine anni Novanta, al progetto Worldchanging che nel 2003 è stato una delle primissime voci a sollevare temi oggi di attualità quotidiana: energia, cambiamento climatico, sviluppo globale, open source, biotecnologie e nanotecnologie. Ma è stato poco dopo, nel 2006, che Cascio è diventato un personaggio internazionale: è bastato un semplice calcolo per renderlo visibile in tutto il mondo. Cascio, infatti, quando ancora il concetto di impronta al carbonio non era diventato popolare, ha analizzato l’impatto ambientale della produzione e distribuzione degli hamburger dei fast food o delle tavole calde. La sua valutazione su quanto impatti ogni anno la produzione e il consumo dei cheesburger in America, cioè più dell’impatto ambientale di tutti i SUV in circolazione, è diventato un tema dibattuto a livello internazionale.

«Oggi – dice – qualsiasi conversazione sul futuro deve partire da un punto chiave: l’ambiente. Il cambiamento climatico. Nel corso degli anni ho scritto tantissime cose e non penso che il termine giusto sia dire che sia stato presciente. Invece, ho cercato di illuminare un insieme di elementi che stavano cambiando, come l’idea che ho scritto due decenni fa del Partecipatory Panopticon, un modo ricercato per dire che tutti in futuro avrebbero avuto una videocamera in tasca costantemente collegata con la rete. Mi sono chiesto: la tecnologia va in questa direzione, quali saranno le possibili conseguenze? Quali gli scenari? Ho iniziato a parlare di politica, di polizia e di persone che controlleranno altre persone. Di privacy. Di tracciamento. Di pubblicità localizzata. Molte cose non sono successe, per fortuna, ma l’idea di fondo era che questa tecnologia avrebbe cambiato il modo con il quale funziona la società, e questa previsione sistemica si è rivelata molto accurata, se pensiamo alle conseguenze dei nostri smartphone».

Cascio interagisce spesso e in maniera innovativa con le comunità anche online. Con la collega Jane McGonigal ha creato un gioco sui social, Superstruct, che permette agli utenti di pensare a strategie per reagire ad alcuni cambiamenti sistemici (ambientali, politici, economici) nel prossimo futuro. Parallelamente ha contribuito a gettare le basi fondamentali per la riflessione su un’etica responsabile del Geoengineering, cioè delle tecniche di modifica volontaria del clima del nostro pianeta, con il libro “Hacking the Earth“.

Dentro al lavoro di futurista

Il lavoro del futurista, tuttavia, è strano. Ad esempio, non ha un committente fisso. Ovvero, anche qui Cascio si distrae e si annoia facilmente.

«Ho lavorato per Hollywood, per gli scrittori di fiction, come consulente per le aziende (ma è molto noioso), soprattutto come freelance, scrivendo e facendo interventi pubblici».

La piattaforma per diffondere le idee e attirare l’attenzione su un tema? Non è più il libro, cioè non necessariamente. Negli ultimi cinque anni, spiega Cascio, c’è stato un cambiamento molto rapido nel modo con il quale un autore può interagire con il mondo. Social media di nuova generazione e i video soprattutto, ma anche i talk (che poi vengono naturalmente rimessi in circolazione come video) hanno preso il posto del libro.

«Scrivere un volume sul futuro o di qualsiasi altro argomento – dice Cascio – funziona solo se diventa un biglietto da visita, un punto di partenza per aprire un discorso pubblico. Ma il modo per portare l’attenzione su determinati argomenti non è più scrivere un libro».

Anche perché l’Internet di oggi è sull’orlo di un cambiamento epocale. Sta per essere sommersa da una montagna di contenuti da leggere, scritti dalle intelligenze artificiali che riusciranno a schiacciare le persone che non hanno un talento particolarmente sviluppato per la scrittura ed esauriranno l’attenzione e il tempo libero dei lettori:

«Se cerchi di usare un libro come strumento di comunicazione principale la questione diventa: quanto tutti possono usare gli strumenti delle AI per scrivere tantissimo e a poco prezzo, avere ancora quel tipo di biglietto da visita è ancora importante e rilevante? Non lo so, non conosco la risposta, ma sono sicuro che questa sia la domanda».

Un futurista non predice il futuro, lo prevede

Il vero nodo però è un altro: come si fa a fare delle previsioni del futuro? Non predire il futuro, ma prevederlo?

«Il metodo – dice Cascio – è quello storico, solo che in questo caso diventa una storia anticipatoria. Allo stesso modo della storia tradizionale si cerca di capire quali sono le dinamiche e le forze di cambiamento, quali i processi e qual è il ruolo delle persone. Personalmente non credo al ruolo dei grandi uomini che fanno la storia; invece, guardo come funzionano la tecnologia e la società. La tecnologia non è magica ma interagisce con noi e provoca delle conseguenze. Non penso, insomma, che la AI ci cambi, ma penso che noi cambiamo assieme all’intelligenza artificiale. Che ci siano processi di coevoluzione».

Oggi qualsiasi previsione di scenario futuro, dice Cascio, deve partire dal cambiamento climatico:

«Questo è il driver più grande e importante per ogni previsione. Le scelte economiche, le sfide politiche e le questioni sociali sono tutte derivate da questo elemento. Avremo più di mezzo miliardo di rifugiati nei prossimi venti anni, provenienti da posti che vanno sott’acqua o dove c’è la carestia e caldo insopportabile, o lotte politiche, o rivoluzioni con milioni di rifugiati, spesso innescate a loro volta da cambiamenti climatici. Sta già succedendo, e queste persone vengono negli Usa e anche in Europa».

Gli impatti dell’intelligenza artificiale

Un altro grande fattore di cambiamento è quello dell’intelligenza artificiale, che oggi sta attirando l’attenzione di tutti per via degli exploit di ChatOpenAI e delle altre formule disponibili per tutti online.

«Nei prossimi anni vedremo sempre più decisione quotidiane, da quanti figli avere a dove lavorare, influenzate più o meno direttamente dai disastri climatici e dalle AI. Le AI stanno andando nella direzione che avevamo predetto venti anni fa con una variante imprevista: immaginavamo che le macchine avrebbero fatto i lavori manuali lasciando quelli creativi e complessi agli uomini, e invece sta accadendo il contrario. E questo sta disegnando scenari di un mondo che fa paura. In cui il talento che resiste sarà quello artigianale».

Il mondo del futuro fa paura? Cascio è un pessimista? La risposta, con un sorriso, è diversa:

«Mi reputo un ottimista nel lungo periodo, ma un pessimista nel breve. Staremo peggio per stare meglio. Ma la mia idea del lavoro per fare previsioni sul futuro non è quella di azzeccare questo o quel risultato, bensì quella di fornire scenari possibili e utili per cambiare le politiche oggi magari per evitarli. Non è diverso da quello che ha immaginato Isaac Asimov nel ciclo della Fondazione di Isaac Asimov. Là il creatore della psicostoria è Hari Seldon, la versione anni Cinquanta di un futurista, che prevede l’arrivo di un medioevo tremendo e vuole che tutta la conoscenza venga messa al sicuro (il “Piano Seldon”) in attesa che finisca l’inevitabile, per accorciarlo il più possibile e offrire al momento del Rinascimento il sapere antico ancora preservato».

Saper gestire i cambiamenti

Il medioevo prossimo venturo è legato ai cambiamenti e al modo con il quale vengono gestiti. JFK, forse il più amato dei presidenti americani, diceva che quando si vietano i modi pacifici per cambiare le cose le persone usano modi violenti per farlo lo stesso. E oggi il conflitto sociale sempre più diffuso e acuito dalle emergenze climatiche e sanitarie si lega anche a quello. Nei conflitti ci sono armi sempre più complesse e micidiali che stiamo cominciando a temere: droni che affiancano i militari ma che presto agiranno da soli, in sciami autonomi e capaci di colpire e uccidere senza alcun input diretto da parte degli operatori.

«Ma ci sono anche le élite che dominano la società, soprattutto dal punto di vista del potere. C’è una grande disparità di ricchezza e potere che genera altri problemi molto gravi e attuali».

Le élite sono sfavorevoli a qualsiasi cambiamento che metta in discussione la propria ricchezza o posizione di potere. E tendono a non considerare le conseguenze nel futuro di quel che fanno oggi.

«Nel mio lavoro frequento moltissime persone ai vertici di multinazionali globali e dei governi, e ho sempre notato una tendenza a coniugare queste due tendenze. È il problema dell’attuale modello industriale e finanziario capitalista: l’interesse personale a breve termine. Questo e il grande cambiamenti di come sono percepite le multinazionali globali».

Secondo Cascio non esistono grandi aziende buone e cattive. Invece, esistono solo quelle cattive e quelle peggio. Apple difende la privacy degli utenti, rispetto a Meta e Google che la sfruttano per monetizzarla, perché vuole usarla come vantaggio competitivo e avere più clienti nel suo ecosistema, che poi espone a sua volta ad altre forme di controllo. Tuttavia, la realtà è che la trasformazione è più profonda di questo:

«I vecchi colossi del passato – dice Cascio –, come Ibm, General Motors e i giganti di un tempo, sono andati. Quell’epoca prevedeva che l’individualità venisse schiacciata. Le persone erano ingranaggi di una macchina enorme, sviluppata come una distesa di cubicoli. Oggi invece, da almeno venti anni, il controllo sociale delle multinazionali globali avviene per mezzo della espressione individuale. I social media sono stati un vero disastro global perché hanno permesso alle persone di esprimersi con pochissimi filtri ed esponendole a stimoli negativi in quantità maggiore che a quelli positivi. Hanno spinto una quantità enorme di persone a messaggi negativi e ad esprimere la propria individualità qualsiasi essa fosse. In molti casi avere una voce individuale è una buona cosa, ma Internet la amplifica a livello planetario. Il dilemma qui è che se da un lato hanno avuto una loro voce ad esempio le persone transgender, dall’altro pochi razzisti e fascisti prima marginalizzati hanno trovato una cassa di amplificazione altrimenti impossibile e oggi sembrano maggioritari, trascinando altre persone con loro».

La Terra è senza speranza?

Dobbiamo andare su Marte? La Terra è senza speranza? No. Anzi sì, ma in generale e solo nel lungo periodo. Cascio ha una voce che sa ridare razionalità e mettere ordine nelle priorità del futuro in maniera che contrasta e lenisce l’ansia del marketing e del capitalismo predatorio.

«Non sono d’accordo con Elon Musk. Se la domanda è se dobbiamo espanderci fuori dalla Terra sono d’accordo, certo, perché è un modo per assicurare la sopravvivenza alla nostra specie nel caso, ad esempio, un asteroide colpisca il nostro pianeta. Ma se la domanda è andare a vivere su Marte domani per spostare il problema del riscaldamento globale, penso che questo sia frutto di una persona che ha troppi soldi e che pensa che essere ricco significhi essere furbo e che essere furbo significhi essere saggio. Ecco, magari un po’ furbo Musk lo è, ma saggio decisamente no. Una persona saggia è una persona che pensa alle conseguenze sia nel breve che nel lungo termine e al costo di trasformazione dei futuri che immagina. Bisogna non solo pensare i cambiamenti ma anche minimizzare i danni quando ci si muove. Musk questo non lo fa».

In realtà il problema è quello, molto antico, delle emozioni e della fiducia. I futuristi oggi sono pessimisti: è molto difficile non esserlo se si guarda al domani. Ma questa emozione non “vende” bene in politica, e i governanti non sono interessati ad ascoltare le Cassandre del tempo presente.

«Gli unici che ci prendono sul serio – dice Cascio – sono gli accademici, i militari e un’unica nazione, cioè Singapore, che investe moltissimo nel risk assessment come base della loro capacità di sopravvivere, vaso di coccio schiacciato tra i grandi vasi di ferro del sud-est asiatico, a partire dalla Cina. E poi ci prendono sul serio forse a Dubai, ma più che altro per fare show e rumore, dato che poi rimangono quella teocrazia oppressiva che sono sempre stati: cambia il modo con il quale si presentano ma non il loro comportamento. Invece, per i leader tradizionali il futuro è solo un altro gruppo di interesse che non deve dargli fastidio mentre sono in carica. È interessante guardare negli occhi le persone che non si preoccupano del futuro perché hanno sempre un sacco di soldi ed è difficile pensare che le due cose non siano correlate».

Energia ed elettricità, uno sguardo all’Europa

Un ultimo tema, al termine di un incontro virtuale durato più di un’ora con un susseguirsi fitto di domande e soprattutto di risposte. L’elettricità. Il mondo non si trasformerà in un sistema alimentato a corrente elettrica prodotta da sole fonti rinnovabili, anche perché il nucleare nel medio-lungo periodo secondo Cascio avrà un ruolo crescente.

«L’Europa non si trasformerà in un continente di auto elettriche, visto che avete già una rete molto sviluppata di treni e trasporti pubblici, sino alle biciclette. Le auto elettriche saranno una realtà soprattutto negli Usa. Quel che succede invece è che dovranno cambiare le reti di distribuzione, per sfruttare l’energia che viene generata in modo distribuito, e che la minore dipendenza dalle fonti fossili, cioè il gas russo oltre che il carbone, cambierà le priorità geopolitiche del vostro continente. Se l’Europa fosse già alimentata con le rinnovabili al 100% come Scozia, Portogallo e Spagna, il conflitto in Ucraina con la Russia sarebbe stato visto in modo molto diverso. La transizione in corso nel vostro continente poi deve riguardare anche la difesa e la sicurezza globale, che per adesso almeno psicologicamente è demandata fin troppo agli Usa».

Great Resignation, ancora molte tensioni

Infine, la Great Resignation, la fuga di molti, magari con lo spirito di un Ralph Waldo Emerson o di un Henry David Thoreau per trovare la self-reliance e la fuga nei boschi, nell’isolamento con la natura. È questo quello che sta accadendo nelle aziende? In realtà no.

«È un cambiamento diverso, più politico, fatto soprattutto dei più giovani che hanno visto il fallimento dell’economia di mercato del XXI secolo. Questi giovani non vogliono dare la loro vita e il loro tempo a una azienda a cui non frega niente di loro. Non vogliono più far parte di questo sistema. Ma dentro c’è anche più semplicemente la scoperta che la tecnologia permette di lavorare da casa recuperando pezzi di vita: il tempo dei pendolari, il costo dei mezzi di trasporto, il bisogno di uno spazio domestico reale, la loro vita da vivere meglio. La difficoltà è delle aziende, che trovano molto difficile capire, metabolizzare e cambiare. E qui si sta creando una linea di tensione che prima di sciogliersi darà molti problemi».

Scritto da:

Antonio Dini

Giornalista Leggi articoli Guarda il profilo Linkedin