MIT Technology Review ha ufficializzato i risultati del sondaggio di T10 Breakthrough Technologies, che ha chiamato i suoi lettori a scegliere quale tra aging clocks, AI-powered robotics, metaverso e NFT sia la tecnologia chiave di svolta per il 2022.
TAKEAWAY
Aging clocks, gli orologi biologici che segneranno la nostra ora
Tale tecnologia non ha nulla a che vedere con quanto siamo soliti indossare al polso. Si tratta infatti di marcatori epigenetici del DNA, in grado di rivelare, ad esempio, il livello di invecchiamento dei tessuti umani, anche se al momento i ricercatori non avrebbero una spiegazione certa per questo fenomeno, oggetto di continui studi e indagini.
Il primo aging clock epigenetico è nato quasi per caso, con tutt’altra intenzione, ossia quella di capire perché due gemelli identici avessero un differente orientamento sessuale. Era il 2011, quando il dottor Steve Horvath, biostatistico della University of California, eterosessuale, sottopose se stesso e suo fratello Markus, omosessuale, a un test epigenetico sulla saliva. Quanto all’obiettivo originale, l’esperimento non propose nulla di rilevante, ma consentì al dott. Horvath una clamorosa quanto fortuita scoperta. Il marcatore era in grado di descrivere aspetti riconducibili all’età biologica degli individui.
Tra le prime evidenze, Horvath capì che tra l’età biologica e l’età cronologica poteva insistere una differenza quantificabile fino ai cinque anni e decise di proseguire in maniera incessante la propria ricerca sugli aging clock, sviluppando moltissimi modelli teorici ed applicativi, al pari di decine di altri ricercatori in tutto il mondo.
Oggi la tematica resta ampiamente aperta, ma il fascino di conoscere nel dettaglio l’invecchiamento apre una nuova era in ambito biomedico, nella prospettiva di capire quanto ci rimane in teoria da vivere e come arrestare o investire il ciclo di invecchiamento cellulare. Su questo tema sono già in corso investimenti miliardari, come dimostra Altos Labs, start-up finanziata dal patron di Amazon, Jeff Bezos, che si propone di individuare soluzioni anti-invecchiamento per garantire la futura immortalità al genere umano.
Il nome dell’azienda deriva dal luogo in cui l’idea stessa ha preso vita, la villa di Los Altos (Palo Alto, California, USA) che ha come proprietario Yuri Milner, imprenditore di origine russa che avrebbe fatto le proprie fortune grazie a Facebook e Mail.ru. Milner ha rinchiuso tra le proprie mura per due giorni Bezos, altri facoltosi soci e una serie di scienziati di fama mondiale, tra cui lo stesso Steve Horvath e il premio Nobel Shinya Yamanaka, per dare i natali ad Altos Labs.
Milner pare fare molto sul serio, dal momento che ogni anno foraggia i Breakthrough Prize, assegni da tre milioni di dollari firmati ogni anno all’indirizzo di chi si è distinto nell’ambito delle ricerche più innovative.
Nella ricerca dell’elisir di lunga vita, Altos Labs rilancia l’entusiasmo smarrito di Calico Labs, iniziativa affine nata nel “lontano” 2013 grazie al ricco portafoglio di Larry Page, noto fondatore di Google.
La speranza dei lettori di MIT Technology Review è ovviamente anche la nostra ma, in attesa che gli aging clock suonino la svolta decisiva, per ora l’unica condotta utile a garantirsi una più probabile longevità rimane un sano stile di vita, con tanto di jogging e verdurine. Tutta questa penitenza mentre il buon Keith Richards, forte dei suoi super geni, continua giustamente a spassarsela.
Con tutta l’ironia del caso, l’unica tecnologia di de-aging attualmente disponibile è quella che i dipartimenti di effetti visivi utilizzano per creare gli attori virtuali. Per quanto realistici, al momento si tratta purtroppo di semplici rendering 3D.
Tecnologie chiave del 2022: AI e robotica, l’eterno spauracchio diventa realtà?
Al secondo posto – tra le tecnologie chiave del 2022 – si è posizionata “AI powered robotics”, un ombrello che comprende in realtà vari aspetti. Da un lato abbiamo gli Skynet wannabe, che sperimentano AI in grado di autoprogrammarsi.
Prima di arrivare alla diabolica AI di Terminator, occorre apprezzare creazioni come RoboGrammar, un algoritmo di intelligenza artificiale capace di progettare e controllare il proprio corpo robotico per muoversi in maniera autonoma su terreni complessi. Si tratta di un progetto di ricerca svolto all’interno dello stesso MIT, a cui era stata data una certa enfasi mediatica un paio d’anni fa.
Quanto ad applicazioni già diffuse in ambito enterprise, i robot basati sull’intelligenza artificiale sono diventati una necessità soprattutto nelle funzioni legate alla logistica, grazie all’incredibile aumento della domanda e-commerce a cui abbiamo assistito durante la pandemia, in un periodo in cui si è oltretutto assistito a una generale carenza di manodopera.
A proposito, ricordate la vicenda per cui i robot ci avrebbero prima o poi rubato il lavoro? Alcune ricerche, come la recente The Robot Revolution: Managerial and Employment Consequences for Firms, a cura della NYU Stern School of Business, dimostrerebbero l’esatto contrario.
Il contributo della robotica avrebbe fatto crescere il business delle aziende che l’hanno implementata, generando una ricerca di nuovi lavoratori umani per supportare l’aumento dei carichi di lavoro. Questo dato sarebbe, inoltre, confermato dalle effettive assunzioni.
I problemi occupazionali legati alla profonda crisi di alcune figure professionali non dipenderebbero, almeno per il momento, da tecnologie come la robotica e l’intelligenza artificiale ma da una generale obsolescenza dei modelli di business che le avevano finora coinvolte.
È tuttavia fuori discussione che – come confermano sin d’ora i colossi della logistica, tra cui Amazon e FedEx – i processi a basso valore aggiunto saranno affidati totalmente alla robotica, pertanto il lavoratore umano dovrà variare la sua occupazione, per supervisionare i robot, gestire i processi di manutenzione o evadere le procedure di nicchia, per cui non vi sarebbe una convenienza nell’automatizzazione.
Il metaverso, la buzzword del momento
Un pubblico attento e consapevole come quello di MIT Technology Review non si è fatto ingannare dall’hype del metaverso, collocandolo soltanto sul gradino più basso del podio tra le tecnologie chiave del 2022 emerse dal sondaggio di T10.
Il metaverso ha subito una clamorosa impennata in termini di popolarità alla fine del 2021, quando Mark Zuckerberg ha annunciato il rebranding di Facebook in Meta, rivelando che, nei prossimi dieci anni, gli investimenti della holding principe del web 2.0 avrebbero preso la direzione dell’esperienza da tutti designata a succedere agli attuali social network.
Nel Vangelo secondo Zuckerberg, il metaverso consiste in social VR come Horizon World, che Meta ci consentirà di vivere attraverso i nostri avatar personalizzati, sfruttando in particolar modo le potenzialità delle tecnologie immersive, come la realtà virtuale e la realtà aumentata.
La versione genuina del metaverso prevede la fusione tra il mondo reale e i mondi virtuali generati attraverso simulazioni digitali in 3D. Si tratta di un contesto ancora distante dalla maturità, sia in termini di design che di tecnologie necessarie per renderla apprezzabile a livello mainstream, superando la soglia primordiale degli early adopters, in cui si trova attualmente.
Senza entrare nel dettaglio, potremmo fare una valutazione analoga per quanto concerne i metaversi blockchain, una delle espressioni più rappresentative del paradigma Web3, la cui decentralizzazione si pone in netta antitesi con il web 2.0 dominato da realtà come Meta e Google, in grado di catalizzare sui loro server oltre il 90% del traffico dati generato sul web.
In entrambi i casi, ipotizzare che il metaverso, centralizzato o decentralizzato che dir si voglia, possa costituire una svolta tecnologica nel 2022 appare piuttosto azzardato. Stiamo ben più probabilmente assistendo alla fase ascendente del suo hype cycle, con tutto ciò che comporta in termini di risonanza mediatica e di investimenti.
Per tutto il resto, la svolta c’è già stata da tempo. Appropriandoci di un’azzeccatissima definizione di Genevieve Bell sulle pagine dello stesso MIT Technology Review, per il momento il metaverso è soltanto una nuova parola per una vecchia idea.
Si tratta di una contestualizzazione perfetta per i mondi virtuali come Fortnite o Roblox, a cui di fatto hanno cambiato la targa, senza mutarne la sostanza. La loro fortuna commerciale, basata su una community di milioni di giocatori online, era già alquanto florida prima di reinventarli come metaversi.
Tecnologie chiave del 2022: NFT, non solo cripto
Dopo il boom di popolarità incontrato nel 2021, gli NFT sono rapidamente diventati uno strumento molto efficace per accumulare interessanti quantità di denaro, grazie alla possibilità di generare modelli di business. Gli NFT consentono la valorizzazione degli asset digitali come risorsa univoca, a prescindere dalla possibile riproduzione dei file.
NFT è infatti l’acronimo di Not Fungible Token, che si differenzia dai token fungibili come le criptovalute o la moneta tradizionale. Un bitcoin vale sempre un bitcoin, come una banconota da cento euro vale sempre cento euro, a prescindere da quale banconota da 100 euro prenderemo in considerazione. Un token non fungibile, come una proprietà immobiliare, è invece dotato di caratteristiche che lo rendono di fatto univoco.
Gli NFT estendono il concetto di risorsa non fungibile anche al digitale, certificando l’asset grazie a un codice univoco generato sulla blockchain di Ethereum. L’NFT appartiene a un proprietario legittimo e viene conservato in appositi marketplace, che ne consentono la rivendibilità e il relativo riconoscimento delle royalty al creatore per ogni transazione effettuata. Questa dinamica, del tutto inedita, ha segnato una svolta epocale, in quanto gli artisti digitali hanno potuto fare le veci dei moderni Rembrandt e Picasso, rendendo uniche anche le creazioni digitali.
L’artista digitale Mike Winklemann, meglio noto come Beeple, ha creato un NFT che racchiude la sua collezione di artwork 3D, celebre per essere stata pubblicata ogni giorno sui social network per quasi 14 anni. Everydays – The First 5000 Days è stato venduto da Christie’s per 69 milioni di dollari che, nel momento in cui scriviamo, rappresenta di gran lunga la cifra più alta mai versata per aggiudicarsi un NFT.
Dopo gli esordi col botto nei mercati dell’arte e dei collezionabili, condizionati da forti dinamiche speculative, gli NFT hanno iniziato “a fare sul serio”, entrando nell’orbita di business enterprise come il fashion & luxury, dove quasi tutti i principali brand hanno scoperto un nuovo canale di vendita per le versioni digitali dei loro prodotti, che spesso coincidono con serie limitate di alcune collezioni.
I fashion brand stanno sperimentando moltissimo, creando metaversi di proprietà o acquistando proprietà virtuali in quelli di pubblico dominio, come The Sandbox o Decentraland, dove hanno creato i flagship store in cui esporre e vendere gli NFT delle loro collezioni. In tale contesto, gli NFT sono sia i prodotti 3D concepiti per vestire gli avatar del popolo del metaverso, che prodotti digitali del tutto indipendenti, il cui acquisto avviene solitamente attraverso un link che rimanda ad un marketplace dedicato.
Gli NFT sono e diventeranno sempre più uno degli strumenti in grado di alimentare l’economia del metaverso, in particolare per quanto riguarda i mondi virtuali decentralizzati, che implementano nativamente tecnologie blockchain. Secondo i lettori di MIT Technology Review, gli NFT valgono il quarto posto nelle tecnologie chiave del 2022.